mercoledì 25 gennaio 2012

CHIANTI ROCK 2009 - Chianti D.O.C.G. - Domenico Tancredi

...mi viene in mente una Enter Sandman, un pezzo teso, graffiante, articolato, ma al contempo “pop” nel suo essere orecchiabile e di facile presa, dal suono pulito e mai stancante. Questo è per me il Chianti Rock di Domenico.


Qualche settimana fa ho pubblicato un post dal titolo “Chianti Rock viticoltura valvolare !!”, per omaggiare e sostenere la bella iniziativa imprenditoriale di Domenico Tancredi. Se avete letto il post, sapete già di che si tratta, contrariamente posso riassumere il tutto con una sola frase... da oggi il Chianti é Rock!!

Domenico coltiva 2 passioni nella vita, quella per il vino e quella per il rock'n'roll.. evidentemente potare le vigne gli piace tanto quanto sparare riff da un palco... nasce così l’idea di creare il nettare perfetto (Chianti) per tutti i metal-rockers, una bottiglia che puoi trovare in enoteca ma soprattutto nei più “sudici” pub dove si suona il metallo fino a notte fonda, un vino di cui se ne parla sui wine blog come sulle riviste musicali, che viene degustato dai sommelier, ma anche tracannato da qualche metallonzo sotto il palco.

Un’idea  semplice ma brillante e coraggiosa, soprattutto perché potrebbe sfatare alcuni tabù… da una parte la chiusura mentale degli eno-snob, che guarderanno con diffidenza un Chianti che si chiama Rock, prodotto da un giovanotto alla prima vendemmia (il 2009) e che si presenta con una chitarra elettrica sull'etichetta. Penseranno ad una trovata promozionale, o ad un gadget per qualche tv o radio rock … Dall’altra parte ecco i metallari, che saranno sicuramente attirati dalla bella veste grafica della bottiglia, ma dovranno sfatare alcune usanze e tradizioni del rock… ovvero birra a volontà e Jack Daniels… riusciremo a vedere dei capelloni con il chiodo far roteare il bicchiere e infilarci dentro il naso per l’esame olfattivo? 

Difficile, ma forse no… io sostengo a pieno il simpatico e sincero progetto di Domenico, ma avevo un interrogativo da risolvere prima di dare la definitiva benedizione a questo Chianti Rock… Tutto molto bello, ma se il vino è una “ciofega” non vai da nessuna parte, prima e ultima vendemmia, si chiude il circo.... 

Proprio con questo interrogativo avevo chiuso il post.. come sarà il vino?? Ora il gentilissimo Domenico (che ci tengo a precisare si occupa di tutta la baracca… direi un one man band.. dalla vigna fino alla vendita finale…) ha pensato di colmare questo vuoto inviandomi due bocce del suo Chianti… che dire… ne stappo una ed ecco nel bicchiere un gran bel Chianti… che abbinato ad un piatto di tagliatelle al ragù di lepre ha fatto la sua sporca figura. Tanto di cappello quindi, perché è uno dei più "gradevoli" Chianti base che mi sia capitato di bere, e stiamo parlando di un vino che tra qualche mese potrebbe ulteriormente evolvere e migliorarsi. Se state pensando ai Chianti base da 5 euro che trovate al supermercato siete fuori strada, qui l’esborso è almeno doppio (sulle 10 euro a bottiglia) ma qualitativamente (e non solo graficamente) parlando, ne vale proprio la pena (e giusto per non sbagliare mi sono comprato un cartone da 6 per le prossime cene tra rockettari...). 

Andiamo con ordine e iniziamo dall’uva… La Domenico Tancredi wines si trova a Vinci in provincia di Firenze. Qui si trova la fattoria di Faltognano, dove Domenico lavora fin da ragazzo alla produzione vinicola dell'azienda. Dopo anni di esperienza sul campo e sui libri, ecco l'ideona... vinificare un po' di Sangiovese e creare una personale versione di Chainti.  E così nel 2009 ecco la prima vendemmia e nel 2011 la commercializzazione delle prime bottiglie. 

Il Chianti Rock è quindi un Chianti D.O.C.G. prodotto con il 100% di uva Sangiovese, una scelta stilistica che personalmente condivido e che nobilita Domenico e il suo vino. Quando si parla di vino (e di rock) bisogna rispettare le tradizioni e lo stile, i tempi per il "crossover" dei Supertuscan sembrano finiti.  Difficilmente troverete una ritmica in levare o una strofa reppata in un pezzo di metal classico, tanto meno un tradizionalista del Chianti vorrà violare la purezza dell'autoctono Sangiovese (anche se la disciplinare lo consente).

La vendemmia avviene ad inizio ottobre, nessun tipo di diserbo nei vigneti e trattamenti a base di rame e zolfo. Una volta raccolte le uve avviene la vinificazione in acciaio con macerazione sulle bucce per 18-24 giorni a temperatura controllata. L'affinamento avviene in botti di rovere da 35hl. di mdia tostatura per circa un anno, a cui seguono 2 mesi di riposo in bottiglia.

Ci gustiamo il vino già dal primo sorso, il caratteristico colorito rosso rubino brillante (non troppo carico e nero) ci invita ad una beva che si rivelerà assai piacevole. Il naso è sicuramente la parte che più mi ha entusiasmato nella sua semplice piacevolezza. Senza voler esagerare e “schitarrare” troppo, all'olfatto “suona” alla grande.. Ha un bel tiro vinoso, c’è la giusta intensità e persistenza, con una vena alcolica (13%vol.) percettibile ma mai invasiva, che, accompagnata da una punta di "acida" freschezza tipica del Sangiovese, compongono il tappeto ritmico ideale per sostenere un cantato melodico e piacevole, dove le note di frutta rossa del ritornello (il dolce della ciliegia) si alternano alle note più speziate della strofa, creando nell’insieme un bel pezzo che suona teso ma con il giusto piglio pop. Alla beva si conferma vino equilibrato, fresco e amabile. Continuando con l’accostamento musicale (doveroso per il Chianti rock) mi viene in mente una Enter Sandman, un pezzo teso, graffiante, articolato, ma al contempo “pop” nel suo essere orecchiabile e di facile presa, dal suono pulito e mai stancante. Questo è per me il Chianti Rock di Domenico, il caratterino fresco e vispo del Sangiovese ci regala un vino di pronta beva, ben equilibrato e arrotondato  da un approccio "sonoro" più moderno con tannini morbidi che conferiscono, equilibrio, eleganza e morbidezza. Il finale è un ritornello ripetuto all’infinito che si conclude con le note che sfumano e costringono il nostro indice a schiacciare nuovamente il tasto del play.  

Mi ripeto, cari eno-tradizionalisti, non fatevi ingannare dalla copertina, perché all’interno c’è un cd che suona alla grande. Questa non è musica da X-Factor, è vero, originale fottuto rock’n’roll di cantina. Non sto parlando di un capolavoro che farà storia come Nevermind dei Nirvana, ma come album d’esordio vale sicuramente Bleach. 

Buona la prima quindi, alzate il volume e godetevi i frutti della viticoltura valvolare.

domenica 22 gennaio 2012

ANSONICA 2010 - Costa dell'Argentario D.O.C. - Az. Agr. Il Cerchio

...al costo di un qualsiasi bianco da supermercato, vi portate a casa un vino buono, sano e acquistato da un piccolo produttore a conduzione familiare... soldi che fa piacere spendere e che finiscono "tutti" in buone mani, senza "ingrassare" la grande distribuzione.


"Vivevamo a Milano, Corinna, Valentino e nostro figlio Beniamino. Avevamo uno studio di urbanistica e architettura e frequentavamo da anni la Maremma, turisti fra i tanti. Nel 1988, con l'idea di prepararci un "rifugio" per la pensione, abbiamo acquistato il podere. Avevamo voglia di verde, di aria pulita, di spazi aperti." 

Con queste semplici parole tratte dal sito dell'agricola Il Cerchio, inizia il racconto di una famiglia che ha mollato la città per dedicarsi alla campagna, e quasi per contrasto con i "veleni" della metropoli, la scelta non poteva che essere indirizzata verso un'agricoltura biologica. 

Ho avuto la fortuna di stringere la mano e fare due chiacchere con Corinna un paio di mesi fa durante "La Terra Trema" di Milano. Ho assaggiato i suoi vini (oltre all'Ansonica che ho acquistato e di cui vi scrivo oggi, Il Cerchio produce anche due rossi, uno a base Sangiovese e uno a base Alicante, più un 'Ansonica passito) e il suo olio (davvero eccellente, merita quanto se non più dei vini...) ascoltato le sue parole e l'orgoglio con cui descrive i suoi prodotti e ne rivendica la naturalità. 

Potrei azzardare nel definire Il Cerchio un produttore di vino naturale, se consideriamo con questo termine i produttori (solitamente piccoli) che operano nel più totale rispetto dell'ambiente, dell'autoctono e della tradizione. Termini come sostenibilità, consapevolezza, artigianalità ben si addicono a questa famiglia di agricoltori. Le vigne sono trattate con l'esclusivo utilizzo di rame, zolfo e funghi antagonisti, la concimazione é di tipo organico e la vinificazione avviene in maniera tradizionale. In tutto 9 ettari di terreno di cui 3 dedicati alle vigne, che consentono una piccola produzione di circa 15.000 bottiglie annue tutte certificate AIAB (Associazione Italiana Agricoltura Biologica). 

La bottiglia che ho acquistato e assaggiato é un Ansonica Costa dell'Argentario D.O.C., vendemmia 2010, prodotto al 90% min. con l'autoctono vitigno, mentre a completamento si utilizza il Vermentino. La vinificazione avviene in piccole vasche di acciaio a temperatura controllata per circa 30 giorni, a cui seguono 5-6 mesi di maturazione. Niente legno quindi. L'affinamento in bottiglia é invece limitato ad un periodo di circa un mese. Ne deriva un vino fresco, di pronta beva, con una gradazione alcolica importante (13,5%vol.) ma mai invadente e pesante, lasciando una piacevole sensazione di vino semplice, bevibile e godibile. 

Servo il vino piuttosto fresco per accompagnare il buon risottino ai frutti di mare della Betta. Nel bicchiere presenta un bel colorito giallo paglierino con riflessi dorati, limpido, luminoso e dinamico. Al naso é di media intensità e buona persistenza, una vena dolciastra richiama sentori di frutta a polpa gialla, ma sono soprattutto le note floreali e minerali ad uscir fuori e richiamare sensazioni di macchia mediterranea. Alla beva é fresco e sapido, con una leggera vena acida, equilibrata da un palato più dolce e succoso, prima di lasciarci con un finale amarognolo e minerale davvero piacevole. 

Non siamo al cospetto di un bianco strutturato, dal bouquet articolato e dalla beva "grassa", ma di un vino che ha il merito di essere "naturalmente" bevibile e digeribile, amabile e mai stancante. Se posso fare un appunto, a questo Ansonica manca un po' di sprint e di particolarità, quel tocco che potrebbe renderlo meno "tecnico" e più passionale. 

Riprendendo quanto ho scritto nel post Arriva Natale...La tredicesima buttiamola nel vino... "siccome bene o male quasi tutti, almeno una volta nella vita, vanno in Maremma (zona Capalbio per intenderci) a passare le vacanze, non dimenticatevi di fare una sosta da questi vignaioli biologici e acquistare per 7 euro il loro Ansonica che accompagnerà alla grande le vostre cene estive (e perché no del cenone di Natale) a base di pesce. Un bel bianco freakettone fresco e beverino... quello che serve per accontentare tutta la tavolata." 

Rapporto qualità prezzo davvero interessante, anche perché al costo di un qualsiasi bianco da supermercato, vi portate a casa un vino buono, sano e acquistato da un piccolo produttore a conduzione familiare... soldi che fa piacere spendere e che finiscono "tutti" in buone mani, senza "ingrassare" la grande distribuzione.

Voglio concludere con queste parole di Corinna tratte da un'intervista del 2009 (che potete leggere integralmente cliccando qui) "Il coltivare biologico, consumare prodotti biologici significa anche rispettare l'ambiente che hai attorno, perché non inquini, non lo distruggi, entri a fare parte del cerchio della natura. Da qui nasce il nome della mia azienda, Il Cerchio. L'uomo come parte della natura e non come prevaricatore."

giovedì 19 gennaio 2012

LE SUGHERE DI FRASSINELLO 2006 - Maremma Toscana I.G.T. - Rocca di Frassinello

...consiglio un sottofondo musicale che continui a giocare di contrasto. Quindi Bandabardò a tutto volume, giusto per ricreare una bella e sincera atmosfera da vino di osteria, senza pensare ai supertuscan, ai "signori" del vino che invadono la Maremma, alle cantine iperfighe e alle barriques che hanno contenuto lo Chateau Lafite. E' un buon vino ma che suona un po' fighetto.. quindi.. attenzio', concentrazio', ritmo e vitalità...


Più nolente che volente, ogni tanto ritorno a parlare di supertuscan. Sarà anche vero che questa tipologia di blend non se la fila più nessuno, ma alla fine te li ritrovi sempre in mezzo ai piedi (o meglio…nel bicchiere..).

Non voglio fare il prevenuto, sia chiaro, sarebbe un errore influenzare il giudizio e l’opinione su un vino a priori, senza averlo prima assaggiato. Vero è che la visione e l'idea "politica" del mondo che ognuno di noi ha (e quindi anche del "mondo del vino") ci porta a riflettere non solo sul bevuto, ma anche su chi, come e con che "filosofia" viene prodotto un vino, considerazioni a mio avviso imprescindibili dalle sensazioni che il vino ci trasmette durante la beva.

Ragion per cui, senza pregiudizi di sorta, approccio a questo "Le Sughere di Frassinello", supertuscan di taglio bordolese, prodotto da Rocca di Frassinello, progetto parallelo dei Domini Castellare, storici e importanti produttori di Chianti Classico in quel di Castellina (famoso il loro I Sodi di San Nicolò).

Impossibile rendere l’idea del bevuto senza  parlare di questa cantina "gioiello" costruita in quel di Gavorrano. Dopo i successi ottenuti con i vini del Castellare il proprietario Paolo Panerai (editore con la passione del vino) decide di espandersi e di investire capitali, creando una join venture italo-francese con niente-popo-di-meno-che il Domanin Barone di Rothschild-Lafite. Un progetto ambizioso quindi, che trova "residenza" tra le colline della Maremma, negli ultimi decenni considerata da molti la nuova Bolgheri, visto gli ingenti investimenti di ben noti "imprenditori del vino" (vedi ad esempio l'azienda Fertuna.. di cui ho scritto in passato). Siccome i soldi girano e i progetti sono ambiziosi (anche se poi come dicevo sopra, oggi i supertuscan sembrano non avere più grande mercato, almeno in Italia), per la progettazione di questa nuova cantina ultra moderna, viene chiamato nientemeno che Renzo Piano, il più famoso architetto italiano.

Nasce così Rocca di Frassinello, un grande progetto sia architettonico che vinicolo, con una spettacolare barricaia sotterranea fatta a gradoni unica nel suo genere, mentre tutto intorno si gode lo spettacolo naturale dei circa 80 ettari di terreno vitato. Bello, figo, moderno, quasi avveneristico.. una grande cantina, in tutto e per tutto, un processo produttivo all'avanguardia che nel giro di pochi anni é riuscito a farsi notare (vuoi che non si notasse un progetto del genere?) a conquistare consensi in tutto il mondo (soprattutto negli States), con vini importanti e qualitativamente validi, per una produzione totale che sfiora le 200.000 bottiglie annue. Questo é quanto. Se poi (come il sottoscritto), vi piacciono le aziende a conduzione familiare, i vignaioli indipendenti, i piccoli produttori ecc... allora di fronte ad un simile e faraonico progetto più che sbalorditi rimanete un po' "schifiti". Comunque come dicevo sopra, voglio raccontarvi del vino senza pregiudizi di alcun genere. 

Dicevamo, progetto italo-francese, ed ecco qui, dal miscuglio di Cabernet Sauvignon, Merlot e Sangiovese in percentuali variabili, si ottengono i 3 principali vini aziendali, a cui si é aggiunto il gran cru "Baffonero" (prodotto con Merlot in purezza), oltre al Vermentino e a due rossi a cui é stato aggiunto del Syrah. 

Per questo "Le Sughere", il secondo vino prodotto dall'azienda, viene utilizzata una base di uve Sangiovese (50%) mentre l'altra metà se la spartiscono in egual misura il Merlot e il Cabernet. Resa per ettaro dell'uva di 55ql., vendemmia delle uve ad inizio settembre, vinificazione in acciaio con fermentazione a temperatura controllata per 15 giorni. Affinamento iniziale in barriques nuove prima del secondo "suggestivo" passaggio in barriques precedentemente usate per l'affinamento del Chateau Lafite. Durata totale dell'affinamento in legno di 12 mesi, a cui se ne aggiungono 9 di riposo in bottiglia (circa 80.000 l'anno).

Nel bicchiere si presenta elegante, con un bel colore rosso rubino vivo, carico, caldo e leggermente viscoso. Al naso attacca furbesco, con un panorama olfattivo articolato che ben rappresenta le caratteristiche dei 3 vitigni utilizzati. Ci sono tutti i sentori dolciastri e marmellatosi di frutta nera (more, mirtillo, ribes), che vengono un po’ faticosamente equilibrati dalla vena più acidula e meno rotonda del Sangiovese. Secondariamente sono i sentori tipici dei vini affinati in botti piccole a venir fuori, con note di spezie, cuoio e mandorle tostate, per concludere sempre "dolciastro" con il cacao e la vaniglia, il tutto attraversato da una leggera nota balsamica. Un naso quindi articolato e ampio, mai invasivo ma comunque piuttosto intenso e persistente. Anche palato, viene fuori tutto il carattere internazionale e moderno del vino. Dolce, polposo, amabile, caldo e di corpo, con un tannino morbido e un palato che richiama le sensazioni "marmellatose" del naso. Sembra il classico vino bordolese e bolgherese, di quelli che tanto piacciono al sign. Parker e poco apprezza il sign. Nossiter, ma la buona percentuale di Sangiovese presente, danno un giusto tocco di carattere e freschezza, che rendono il tutto meno pesante e più piacevole alla beva. Il finale é piuttosto persistente, con un rilascio di note dolciastre. 

Un vino quindi importante, maturo e strutturato, che lascia presagire ottima longevità. Complessivamente ben fatto, equilibrato, armonico e piacevole per tutta la durata della degustazione. Il livello é sicuramente alto e poco ha da invidiare a ben più rinomati e costosi vini bolgheresi. 

Se siete tra quelli che nel 2010 amano ancora i supertuscan tutta polpa e marmellata allora questo "Le Sughere di Frassinello" fa il caso vostro, sia per il costo non eccessivo (tra le 15-20 euro in enoteca), sia per la gradazione alcolica importante (13,5%vol.) ma che non si fa quasi mai sentire, sia per quel tocco di carattere e beva che gli viene conferito dal Sangiovese. Se come il sottoscritto amate vini meno ruffiani, puliti e soprattutto dolci (questa è la nota che mi é meno piaciuta... davvero troppo zuccheroso..), se vi piace l'attacco vinoso, la vena alcolica e la punta acida, allora girate assolutamente alla larga. Io personalmente 17 euro per un vino del genere non le sborserei mai, per una questione di gusto, di stile e di scelta etica (o visione "politica" come ho scritto sopra). 

Come abbinamento gastronomico c'è solo l'imbarazzo della scelta, direi che si sposa bene con tutti i classici piatti "da vino rosso", in particolare con un bel aperitivo "maremmano", con crostini di fegato (per giocare di contrasto con il dolciastro di questo vino), ma anche salsiccette di cinghiale e formaggio di fossa. 

Continuando sulla linea dell'abbinamento gastronomico, consiglio un sottofondo musicale che continui a giocare di contrasto. Quindi Bandabardò a tutto volume, giusto per ricreare una bella e sincera atmosfera da vino di osteria, senza pensare ai supertuscan, ai "signori" del vino che invadono la Maremma, alle cantine iperfighe e alle barriques che hanno contenuto lo Chateau Lafite. E' un buon vino ma che suona un po' fighetto.. quindi.. attenzio', concentrazio', ritmo e vitalità...

venerdì 13 gennaio 2012

BACCANERA 2007 - Langhe D.O.C. - Cascina Lo Zoccolaio

...Lasciate svinare un’oretta e nel frattempo mentre preparate il soffritto per il risotto, mettete nel vostro lettore mp3  “Dig your own hole” dei Chemical Brothers. E’ la botta di energia necessaria per ballare davanti ai fornelli e non smettere mai di girare il riso, operazione fondamentale per una buona riuscita. I bassi grassi, gonfi e “burrosi” di Elektrrobank favoriranno la perfetta mantecatura finale, per un risotto dalla cremosità invidiabile. 


Decido di iniziare il 2012 con una bottiglia langarola, perché quando penso a quelle colline e ai suoi ottimi vini mi riconcilio sempre con il mondo del vino (anche se poi, a ben vedere, anche li non è tutto oro quel che luccica…). Quindi meglio iniziare bene il nuovo anno, lasciare perdere gli articoli con "scazzo" apparsi nelle ultime settimane su Bibenda  (attacco ai blogger) e GQ (la diatriba Nossiter-Ristoratori) e parlare di questo Langhe D.O.C. della cantina Lo Zoccolaio.

E’ la prima bottiglia che bevo di questa casa vinicola, che ho acquistato casualmente (come ogni tanto mi piace fare) attirato dalla bella veste grafica e dal costo abbastanza contenuto (10-12 euro). Mi son detto, cià.. proviamola…  alla fine bisogna assaggiare il più possibile… la curiosità nel provare una boccia mai stappata prima è sempre alta, le conclusioni, le tiriamo dopo l’ultimo bicchiere.

Allora posso dirvi che si tratta di una cantina con sede a Barolo, dimensioni medie (20 ettari) e produzione incentrata ovviamente sul vitigno Nebbiolo (11,3 ettari), con 2 versioni di Barolo (Normale e il cru Ravera), oltre alla Barbera, il Dolcetto, il Pinot Noir e al più “moderno” Langhe D.O.C. dove oltre agli autoctoni Barbera e Nebbiolo viene mischiato il solito Cabernet Sauvignon (30%).

Non sono un fans di questi mix tra vitigni tipici e altri internazionali, soprattutto in zone ad alta vocazione vinicola e di grande tradizione come le Langhe. Comunque… assaggiare si assaggia tutto, non voglio fare il prevenuto, chiaro è che se fossi io il vignaiolo farei altre scelte e una volta tanto si dovrebbe obbligare i produttori ad indicare sull’etichetta la tipologia di uvaggio utilizzato, avrei probabilmente optato per un’altra bottiglia…

Una cantina piuttosto moderna nata dalla ristrutturazione di un vecchio cascinale, dalla famiglia Martini, che pur optando per una viticoltura più tecnologica e innovativa, negli ultimi anni è saggiamente tornata ad un processo di invecchiamento più tradizionale, riproponendo l’utilizzo delle botti grandi, dopo aver cavalcato la moda dei vini barricati.

Persiste invece l’utilizzo della botte piccola per questo Baccanera, vendemmiato ad ottobre la fermentazione avviene nelle buuce a temperatura controllata, con vinificazione separata delle uve. Laffinamento avviene in botti piccole per 18 mesi.

Si presenta di color rosso rubino intenso, piuttosto fitto e consistente, ma pulito. Al naso è di buona persistenza, con una vena alcolica (13,5 %vol ) pungente ma non invasiva, accompagna un bouquet piuttosto fine ma pieno, che pur senza spingere troppo sull’acceleratore riesce a regalarci piacevoli sentori di frutta a bacca rossa, legno e spezie (la permanenza in barrique si fa sentire con una lieve nota di tostatura, ma senza infastidire). Anche al palato si conferma un vino ben strutturato e ben preparato. Le caratteristiche dei 3 vigneti impegnati in questo blend sono ben amalgamate, regalandoci un vino tosto, di spessoree piuttosto tannico, ma che sa essere anche fresco e piacevole alla beva, succoso e morbido. Il finale è abbastanza lungo con un retrogusto leggermente speziato e vanigliato.

Nell’insieme un vino davvero ben fatto, dove tutto è ottimamente assemblato, risultando possente ma piacevole e mai pesante.  La bevibilità della Barbera, l'intensità del Cabernet e un pizzico di terroir con il Nebbiolo.

La critica che mi sento di rivolgere a questa bottiglia è di essere troppo tecnica e poco viva, di avere un respiro un po’ troppo internazionale, soprattutto per un vino prodotto in un territorio caratteristico come quello delle Langhe. Comunque ogni cantina è libera di utilizzare le uve che preferisce, visto che la D.O.C. consente di piantare vitigni internazionali.

Piacevole da degustare ma soprattutto come vino accompagnamento, sia per carni rosse, piatti in umido, formaggi, ma soprattutto un bel risotto con i funghi!

Lasciate svinare un’oretta e nel frattempo mentre preparate il soffritto per il risotto, mettete nel vostro lettore mp3  “Dig your own hole” dei Chemical Brothers. E’ la botta di energia necessaria per ballare davanti ai fornelli e non smettere mai di girare il riso, operazione fondamentale per una buona riuscita. I bassi grassi, gonfi e “burrosi” di Elektrobank favoriranno la perfetta mantecatura finale, per un risotto dalla cremosità invidiabile.

Pur divagando da Nossiter ai Chemical Brothers sono riuscito a raccontarvi del Baccanera decisamente valido e apprezzabile… Hey boy, hey girl… basta “paste” con i Chemical, da oggi Langhe D.O.C. e risottino ai funghi…

martedì 10 gennaio 2012

NOSSITER vs. RISTORATORI BEVIAMOCI SOPRA...

Si concludono le festività natalizie… niente panettone, pacche sulle spalle e “siamo tutti più buoni” nel panorama vinicolo made in Italy, dato che l’ultima settimana è stata caratterizzata dalla diatriba Nossiter-ristoranti romani-Casale del Giglio. Sono quindi volati fulmini e saette, come se il problema dei rincari e delle carte dei vini omologate nei ristoranti fosse una scoperta. 

Insomma tanto clamore suscitato, tante chiacchere e tutti pronti a difendere la propria posizione, ma alla fine ogni persona che può permettersi di andare ogni tanto al ristorante e si interessa un minimo di vino, si era già resa conto del problema da parecchio tempo, senza bisogno di ingrassare le casse di GQ comprando la copia incriminata.  Non voglio essere tedioso e rimarcare l'ennesimo commento in merito (anche se la tentazione è forte, ma l'argomento é troppo vasto...) si è già detto abbastanza su altri blog (e quello di Intravino é l'articolo con cui concordo maggiormente), la verità a mio modesto parere è che in tutti i campi ci sono imprenditori onesti e altri truffaldini (in Italia più truffaldini che onesti...), gente che sa fare il suo mestiere bene e con passione, mentre altri pensano solo al business, indipendentemente dal fatto che siano vignaioli o ristoratori. 

L’unica cosa che mi sento di chiedere è onestà nei confronti dei clienti che pagano (e per alcuni concedersi una serata al ristorante vuol dire anche fare dei sacrifici…) ed indicazioni più specifiche sia sull’etichetta delle bottiglie, che sulla carta dei vini, così che il consumatore possa meglio orientarsi e scegliere. Se poi una persona pensa che il ricarico del ristoratore sia eccessivo, è liberissimo di non acquistare quel vino e soprattutto non cenare più in quel ristorante. (come ha fatto il sottoscritto con la Trattoria della Pesa di Varese... Quasi 30euro per un Pinot Noir di Colterenzio). 

Sul discorso delle carte dei vini tutte uguali e molto “industriali”, il discorso è ancora più lungo e ricco di sfaccettature, a partire dalla considerazione di un ristoratore/sommelier con cui ho avuto il piacere di fare due chiacchere (il bravo Costantino dell'Osteria dei Sass), che nel corso degli anni, si é trovato praticamente costretto a sfoltire la carta dei vini e adeguarla alle esigenze del consumatore medio, per evitare gli eccessi di giacenza in cantina e pagarci su le tasse. Ne deriva che anche alcuni sommelier "intelligenti" che vorrebbero puntare su carte dei vini più "interessanti" e meno "industriali" si trova a dover puntare sui soliti nomi, sia per questioni economiche, sia per le richieste "scontate" di consumatori poco attenti che richiedono i soliti nomi.

Per il resto siccome nei miei buoni propositi per il 2012 chiedevo un mondo del vino con più "ammmore", passione, e meno menate preferisco dimenticare le ultime polemiche, anche perché mi sembra di ritornare a 20 anni, quando discutevo per ore su quanto i Sex Pistols fossero dei veri punk o solo la grande truffa del rock’n’roll di Malcolm McLaren.   

Io intanto che fate bla,bla,bla,bla mi bevo una bella boccia langarola...mentre mi riguardo Mondovino...

sabato 7 gennaio 2012

CHIANTI ROCK VITICOLTURA VALVOLARE !!

...Dopo la biologica e la biodinamica ecco la nuova frontiera della viticoltura... una pila di Marshall tra un filare e l'altro, volume a stecca e via con la viticoltura valvolare! 


Eccomi qui cari amici metallari... probabilmente é assai difficile che qualcuno di voi faccia un giro su questo blog, perché si sa, whiskey e birra sono sempre state le vostre bevande preferite, non di certo il vino, che nell'immaginario collettivo risulta elittario, snob e poco metal. 

Qualcuno potrà insinuare che nessuno leggerà questo post perché il rock e il metal sono fuori tempo massimo e capita ormai raramente, di avvistare per le strade qualcuno con il chiodo frangiato e gli stivalozzi appuntiti in pelle di serpente. Ma state attenti... i motherfuckers rockettari-metallosi sembrano solo apparentemente dei dinosauri estinti, ma  in realtà sono ancora vivi e vegeti. 

Il grunge deii '90 con una secchiata di "pessimismo cosmico" sembrava aver spazzato via la voglia di party e trasgressioni dell'hard rock anni 80. Basta musica patinata e suoni puliti, basta sesso, whisky, capelli cotonati e pantaloni di pelle attillata. E' bastato alzarsi una mattina e sentire Smells like teen spirit alla radio per capovolgere la nostra concezione di rock e riempire i nostri armadi di camicioni in flanella a quadrettoni e scarpe da tennis nere. A breve Sonic Youth, Soundgarden, Pearl Jam, Alice in Chains e compagnia avrebbero asfaltato Poison, Motleycrue, Guns'n'Roses, Cinderella, Bon Jovi ecc... 

Parallelamente c'erano gli amanti del rock più duro, meglio conosciuto come heavy metal... motocicletta, giubbotti borchiati, magliette sataniche ecc... anche per loro il nuovo millennio é stato un momento di svolta. L'arrivo del crossover, dell'accordatura in re e dei suoni "industrial", ha portato al successo gruppi come Korn, Limp Bizkit, Nine Inch Nails, Tool ecc... pantaloni extralarge, abbigliamento da skaters, capellino da beseball... E così anche Iron, Metallica, Slayer, Sepultura, Megadeth ecc... sembrano finire in soffitta. 

Nonostante tutto lo zoccolo duro ha retto il colpo, é rimasto immune ai cambiamenti culturale ed é rimanendo fedele con amore e devozione a questa forma di metal classico. Se vi girante intorno forse non li notate, ma se seguite il "movimento" vi accorgerete che di metallari e rockettari il mondo é pieno, perché chi più (come il sottoscritto) chi meno, tutti quelli che come me se la viaggiano sui 30-40 anni, hanno musicalmente vissuto quegli anni, ed ogni volta che parte una Run to the Hills o una Back in Black non possiamo fare a meno di muovere la testa a tempo. 

C'è un legame platonico e inscindibile tra band e fans nel mondo del rock. Sono loro a tenere in piedi l'industria della musica come la intendevamo prima dell'arrivo degli mp3. Sono loro che affollano i festival estivi, comprano i cd, le t-shirt e mettono su una band. Essendo organizzatore di eventi culturali, posso testimoniare come le band liceali, anziché fare le cover di Franz Ferdinand e Kings of Leon, si divertono ancora a suonare i grandi classici del rock, dagli Iron ai Kiss fino ad arrivare ai Led Zeppelin e i Deep Purple. Quindi il movimento metal non é morto e sepolto, anzi é vivo, vegeto e pulsante... 

Questa introduzione più musicale che enologica, per raccontarvi della bella (e consentitemi coraggiosa) idea di Domenico Tancredi. Ovvero unire nel nome del rock due mondi apparentemente distanti. Parlare di vigne, fattorie, tradizione, cultura rurale ed "elogio alla lentezza e all'invecchiamente" sembra concettualmente stridere con il mondo del metal-rock. Eppure con la sua iniziativa imprenditoriale, Domenico ha deciso di proporre una "nuova" bevanda per tutti i rockettari d'Italia (e non solo)... il Chianti Rock!! 

Eccola qua, il primo vino per gli appassionati del rock'n'roll... altro che Jack Daniels in stile Slash, qui si parla di Sangiovese toscano in purezza, coltivato, vinificato, invecchiato e imbottigliato nel comune di Vinci in provincia di Firenze, come disciplinare comanda! Quindi se vi capita di leggere Chianti Rock, sappiate che non siete al cospetto di un concorso per band emergenti a Greve in Chianti, ma bensì ad un vero e proprio vino Chianti. 

Se in molte cantine amano spesso diffondere musica classica nelle barricaie (vedi il Chianti Classico di Renzo Marinai), Domenico Tancredi il suo Chianti lo fa invecchiare sotto l'incidere calzante di una Master of Puppets. 

Non ho ancora avuto modo di assaggiare questo vino, quindi niente sentenze sul bevuto, rimane da capire se nell'immaginario dell'eno-appassionato (e perché no del rockettaro) che effetto fa trovarsi a tu per tu con una bottiglia del genere. Gli interrogativi sono parecchi... una trovata geniale? una mossa di puro marketing?? una tamarrata che solo i metallari posso comprare??? un sincero connubio tra passioni che si uniscono ???? Ammetto che da tradizionalista sono poco incline a certe trovate, trovo che questa idea del "vino rock" forse si adatta più alle pagine di Metal Hammer (ma esiste ancora??) che alle guide enogastronomiche. 

Siccome sono cresciuto a colpi di metal-rock e concerti, conosco la sincera passione con cui si vive la musica, mi sento di dare comunque fiducia a Domenico e al suo progetto, alla sua bella faccia da vignaiolo e alla sua "genuina" idea di creare un vino rock. Quindi cari lettori appassionati di vino... quest'anno per il Chianti Rock é stata la prima vendemmia, diciamo pure il primo disco... se vi serve un'idea simpa per fare un regalo a qualche vostro amico amante del suono duro, questa boccia é l'ideale (almeno che non sia astemio, ma non ho mai conosciuto nessun astemio nell'ambiente del rock..). 

Pur non potendo garantire sul vino che non ho assaggiato (ma sono pronto per farlo, ho già messo nel lettore Roots dei Sepultura, un album di "terroir"), voglio fare un po' di promo al progetto di Domenico... Allora... siete di quelli che fanno il giro-cantine e mentre scollinate, il vostro stereo sputa Far Beyond Driven a tutto volume con la macchina sobbalza come in Fusi di Testa?? oppure siete di quelli che mentre passeggiate in vigna fate il passo del leopardo sotto i filari mentre nelle vostre cuffie ronzano gli elicotteri di One dei Metalicca e pensate di trovarvi nella giungla del "fottuto" Vietnam?? Ecco il vino che fa per voi... Chianti Rock! 

Ci siamo sorbiti le serate di jazz & wine, quelle da osteria con i cantautori "fiasco in mano", finalmente tra le vigne del Chianti riecheggia l'eco di una chitarra distorta! Dopo la biologica e la biodinamica ecco la nuova frontiera della viticoltura... una pila di Marshall tra un filare e l'altro, volume a stecca e via con la viticoltura valvolare!  

Scherzi a parte, alzate il volume delle casse e fatevi un giro su Chianti Rock. Potete ordinare il vino (36,3 euro la confezione da 3 bottiglie e zero spese di spedizione), comprare magliette e porta bottiglie serigrafati, tutti dalla bella e curata linea grafica; oltre ovviamente, conoscere meglio il progetto su cui si sta sbattendo Domenico Tancredi.  

Niente stupore se al prossimo concerto vedete qualcuno con il "Gallo Nero" sulla t-shirt al posto di Ozzy, o fare stage diving con una boccia di rosso in mano (speriamo di no!!), siete stati avvisati!!

In attesa di scoprire se il contenuto é buono, quanto é bella la bottiglia, "big respect" per il Chianti Rock.

P.S.... Alla fine Chianti Rock assaggiato... clicca qui per leggere la recensione.

giovedì 5 gennaio 2012

DONNA ORGILLA 2010 - Offida Pecorino D.O.C.G. - Az. Agr. Fiorano

...Sedetevi sotto le palme di San Benedetto in una bella giornata di fine maggio, stappate il Donna Orgilla... sorseggiatelo a secco, mentre guardate il mare, ascoltate Brunori che canta Guardia 82' e ricordate le adriatiche vacanze degli anni 80.


Si sa che durante il cenone del 31 dicembre le bevute sono più di "quantità" che di "qualità", ma quest'anno, giusto per dare un calcio alla crisi, non ci siamo di certo fatti mancare una dozzina di ottime bottiglie, tra Barbarsco, Gattinare, Bolgheri Superiore, Bramaterra, Sassella, Carmignano ecc... Tra tanto rosso per l'aperitivo ci siamo concessi una piccola divagazione in bianco, giusto per rendere onore a questa boccia di Pecorino dell' agricola Fiorano. 

Un gradito ritorno su queste pagine, dopo avervi raccontato in passato del loro Rosso Piceno Sup. "Terre di Giobbe"; ma soprattutto un piacere berlo, dopo aver incontrato (con il mio amico Stefano) Paolo "il milanese delle Marche" alla rassegna La Terra Trema di Milano, dove ogni anno é presente con i suoi ottimi vini biologici (e anche della grappa bianca da uve Montepulciano in purezza, eccezionale...) che molto gentilmente mi ha lasciato una delle ultimissime bottiglie di Pecorino rimaste in cantina, tanto gli é andato a ruba quest'anno. Lo volevo proprio assaggiare e tornarmene a casa con una bottiglia, dopo aver letto le lodi tessute da molti e il riconoscimento come "vino slow" nella guida 2012 di Slow Food. 

Giusto un'annetto fa sono stato ospite proprio da quelle parti, precisamente presso l'Aurora vini, dove ho potuto apprezzare i loro prodotti tra cui il "Fiobbo", eccellente versione di Pecorino di Offida. Volevo quindi testare il Donna Argilla di Fiorano (che si trova a meno di 5km da Offida) e capire se riesce a tenere testa alla versione degli amici di Aurora vini. Non voglio certo mettere in competizione le due cantine, posso però affermare che tra caratteristiche similare e alcune differenze, le due versioni di Pecorino si equivalgono. 

Allora, con Fiorano siamo a Cossignano in provincia di Ascoli Piceno, in un fantastico contesto collinare che si snoda verso San Benedetto del Tronto e il mare Adriatico. Quest'area vitivinicola é famosa ai più (soprattutto negli ultimi anni) sia per la produzione di vini bianchi come il Pecorino e la Passerina, sia per il Rosso Piceno. Nella bella casa colonica dei Fiorano (che funziona anche come agriturismo) vengono prodotti i classici vini della zona (tra cui il loro cru Ser Balduzio che attualmente riposa in cantina), su 5 ettari di terreno vitato a regime biologico, da cui si ricava il nettare necessario per produrre all'incirca 30.000 bottiglie l'anno. Di queste quasi un terzo sono a denominazione Pecorino di Offida D.O.C.G. prodotto al 100% con le autoctone uve Pecorino, per 1,2 ettari complessivi su terreno argilloso. Raccolta manuale delle uve, pigiatura soffice, macerazione per 18 ore e fermentazione spontanea. Maturazione per 4 mesi su fecce fini e affinamento di 6 mesi in bottiglia. 

Nel bicchiere é fluido e di buona trasparenza, di colorito giallo paglierino dai riflessi verdognoli. Il naso é ottimo, una bella e potente vena alcolica (13,5% vol.) sorregge un bouquet ampio e pieno, strutturato in sentori primari di frutta bianca matura e note più agrumate, lasciando spazio in seconda battuta a note floreali più fresche e una pungente vena minerale. Dopo un naso così il palato é proprio come te lo aspetti. Complesso, articolato, aromatico. Un ingresso sapido e asciutto lascia presto il passo ad un palato pieno, rotondo, polposo, prima di far uscire il suo carattere più acido, minerale e teso. Il finale é di buona persistenza e dall'ottimo rilascio aromatico, che lo rendono un vino piacevole e fresco. 

Proprio qui sta il successo di questo Pecorino. Come il Fiobbo di Aurora (giusto per tornare sul paragone iniziale) siamo al cospetto di un grande bianco che sa esprimere alla grande il terroir e l'idea di vino dei loro produttori. Ma mentre per l'Aurora questo significa un Pecorino di buona beva ma comunque molto intenso, rustico e territoriale, a Fiorano hanno optato per una versione più elegante, dove il carattere é reso docile da una costante vena minerale piuttosto fresca, che dona raffinatezza, leggerezza e facilità di beva, lasciandoci comunque la sensazione di avere a che fare con un vino di spessore e non un bianchino da circolo. 

Possiamo solo fare i complimenti a Fiorano e ringraziare tutte quelle persone che hanno convinto Paolo a mollare Milano e le dentiere per fa il vignaiolo nelle Marche... eri un predestinato... 

Riassumendo pollice su per questo Pecorino, tutte le critiche positive, i premi delle guide e soprattutto i complimenti guadagnati sul campo, fanno di questo vino una bottiglia consigliatissima. Difficile da trovare perché va a ruba. Il prezzo é contenuto sulle 10-11 euro, il rapporto qualitativo é massimo, il vignaiolo è bravo e simpatico, l'attenzione per la terra é massima con regime di coltivazione biologica certificata... parliamo quindi di buona e sana bevuta. 

Sedetevi sotto le palme di San Benedetto in una bella giornata di fine maggio, stappate il Donna Orgilla, servitelo fresco sui 10 °C in abbinata ad un buon piatto di spaghettoni al pesce, senza sugo però in bianco, con olio di oliva, prezzemolo e un po' d'aglio; oppure sorseggiatelo a secco, mentre guardate il mare, ascoltate Brunori che canta Guardia 82' e ricordate le adriatiche vacanze degli anni 80.

martedì 3 gennaio 2012

BRUNELLO DI MONTALCINO 2004 - D.O.C.G. - Col d'Orcia

...Lasciare svinare almeno un'oretta prima di servirlo a 20°C. Nel frattempo ascoltatevi un cd degli Alice in Chains, che ben si abbinano a questo Col d'Orcia tra pezzi più tannici e legnosi come Them Bones e Sickman dell'album Dirt, alle più rotonde e bevibile versioni di Jar of Flies.

Torniamo a quello che é l'argomento principale di questo blog, ovvero le degustazioni. Ultima in ordine di tempo fa riferimento alla foto che vedete qui a sinistra, ovvero una bottiglia di Brunello del 2004, cantina Col d'Ocia. 

Parlare di questa cantina non é cosa semplice. Dobbiamo infatti parlare di un grosso produttore da 700.000 bottiglie l'anno con oltre 140 ettari vitati, tutti di proprietà del famoso industriale Francesco Marone Cinzano, proprietario tra l'altro di tenute in Cile. Una cantina che nel corsi degli anni é riuscita a diventare la più importante "industria" del Brunello (insieme a Caparzo, Fattoria dei Barbi, Tenuta il Poggione e alla multinazionale Banfi...), puntando però non solo sui numeri, ma anche sul Sangiovese, riuscendo a proporre vini che puntano soprattutto sul territorio e le uve autoctone, riservando pochi ettari alla produzione di Cabernet Sauvignon, Merlot, Syrah ecc.. 

Per questo non é cosa semplice parlare della tenuta Col' d'Orcia, contrastata azienda che produce in quantità, ma che punta su un prodotto qualitativamente all'altezza e rispettoso della tradizione, pur utilizzando tecnologie avanzate e continua ricerca in vigna e cantina. Non proprio quell'esempio di cantina tradizionale e rurale che ci piace immaginare quindi, ma comunque un produttore di buon livello. 

A Montalcino ci sono sicuramente cantina che riescono a proporre versioni di Brunello più notevoli, resta comunque il fatto che questi vini risultano precisi e ben fatti, facilmente reperibili ed economicamente vantaggiosi, considerando che il prezzo di questa bottiglia del 2004 (una delle migliori annate per Montalcino) é acquistabile intorno alle 25 euro. Più che onesto direi e rapporto qualità/prezzo invidiabile. Metteteci anche che dal 2010 l'azienda ha iniziato un processo di conversione al biologico di tutti i suoi vigneti e anche questo é un bel passo avanti. 

Per questa versione classica del Brunello, 100% uve Sangiovese provenienti dal vigneto di S.Angelo in Colle, resa 61q/ha, annata ottimale dicevamo, con piovosità primaverile ed estate equilibrata, che ha consentito la perfetta maturazione delle uve. Vendemmia manuale e fermentazione sulle bucce per 20 giorni in vasche di acciaio. 4 anni di invecchiamento, di cui 3 in botti di varie dimensioni e uno di affinamento in bottiglia. 

Nel bicchiere si presenta di color rosso rubino intenso tendente al granato, impenetrabile. Al naso risulta piuttosto chiuso, di media intensità e persistenza. Il bouquet é articolato da note più aromatiche e dolci tipiche della frutta rossa e nera (more, lamponi ecc..) a sentori più speziati, amarognoli e legnosi. Sinceramente considerando anche l'ottima annata, mi aspettavo un bouquet più ampio e fragrante. Al palato si dimostra subito vino piuttosto austero, dalla marcata vena alcolica (sui 14%vol.) Ma non siamo al cospetto di un vino troppo caricato e inchiostrato, anzi è proprio l'equilibrio tra vino potente ed impegnativo e la piacevolezza di beva a renderlo amabile e ben riuscito. Una bella struttura che presenta tannini importanti e sentori legnosi, una bella tensione ma senza schiacciare troppo sull'accelleratore, lasciandoci al contempo ottime sensazioni di rotondità, freschezza e sapidità. Potrei definirlo robusto ma mai aggessivo o fastidioso alla beva. Il finale é importante, dal piacevole retrogusto amarognolo. 

Gastronomicamente versatile, adatto sia con i piatti più "pesanti" sia con pasta o carni alla griglia. Lasciare svinare almeno un'oretta prima di servirlo a 20°C. Nel frattempo ascoltatevi un cd degli Alice in Chains, che ben si abbinano a questo Col d'Orcia tra pezzi più tannici e legnosi come Them Bones e Sickman dell'album Dirt, alle più rotonde e bevibile versioni di Jar of Flies.

Che dire, un bel Brunello di stampo tradizionalista, sicuramente non un vino da meditazione, da gustare ad occhi chiusi mentre sognamo le dolci colline di Montalcino, ma una versione semplice e con i piedi per terra, adatta soprattutto per pasteggiare e per mettere sul tavolo una boccia comunque importante senza svenarsi troppo. Direi un buon rapporto qualità/prezzo ideale per chi vuole approcciare al modo del Brunello. Giudizio complessivamente positivo.

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...una fusione eno-culturale vincente, un vino che intriga, incuriosisce e si lascia amare, un vino del sole e della gioia, della bellezza territoriale e popolare che accomuna Spagna e Sicilia.

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CINQUE VINI, TRE SORELLE, UN TERRITORIO > TUTTI I ROSSI DEL CASTELLO CONTI... IL POST DEFINITIVO

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Conosco e bevo "Castello Conti" da alcuni anni, e provo una profonda ammirazione per i loro vini e per il lavoro "senza trucchi" di Elena e Paola. Da una recente visita con degustazione presso la loro cantina di Maggiora, é nata una sorta di collaborazione appassionata, che mi ha permesso di gustare l'intera produzione di rossi del Castello, che oggi in questo mega-post ho il piacere di raccontarvi alla mia maniera...

ACQUISTI IN CANTINA... A VOLTE I CONTI NON TORNANO !!

ACQUISTI IN CANTINA... A VOLTE I CONTI NON TORNANO !!
da "Le vie del vino" di Jonathan Nossiter... < - In cantina questo Volnay, che qui é a 68 euro, ne costa più o meno 25. Quindi non sono i De Montille ad arricchirsi. Ma quando arriva a Parigi o a New York, il vino costa almeno il doppio che dal produttore. - Quindi per noi che abitiamo in Francia val la pena di andare a comprare direttamente da lui. - Si in un certo senso, il ruolo dell'enoteca in città è quello di aprirti le porte per farti scoprire il tuo gusto personale, e di esserti utile quando hai bisogno di qualcosa rapidamente. Poi spetta a te stabilire una relazione diretta con il produttore >

NON STRESSATECI IN ENOTECA !!

NON STRESSATECI IN ENOTECA !!
...Anche se sono un po’ più giovane e indosso il parka con le pins non significa che entro per mettermi sotto il giubbotto le bottiglie di Petrus fiore all’occhiello della vostra enoteca, quindi evitate di allungare il collo o sguinzagliarmi alle spalle un commesso ogni volta che giro dietro allo scaffale.