martedì 26 marzo 2013

ROIJA RESERVA 2006 - D.O.Ca. - Marqués De Riscal



...più che una bella bevuta, mi rimane solo una bella bottiglia vuota sullo scaffale.


Questo é uno dei produttori spagnoli più famosi e conosciuti, tanto che può capitarvi di trovare alcuni dei suoi vini anche qui in Italia. Così, anche se in cuor mio, sapevo che stavo per acquistare un vino che non é proprio nelle mie "corde", mi sono autoconvinto, attirato dalla bella bottiglia retata e la voglia di provare un vino spagnolo della Rioja (oltre ovviamente al prezzo contenuto). Adesso a bottiglia stappata sono qui a raccontarvi, più o meno, di cosa si tratta.



Marqués de Riscal è una delle più antiche cantine della Rioja fondata da Guillermo Hurtado de Amezaga nel lontano 1858, e in breve tempo, grazie alle collaborazioni con enologi di Bordeaux, introduce nuovi vitigni di taglio bordolese e acquisisce le tecniche produttive dei maestri francesi, tanto da essere il primo vino "non francese" ad essere insignito del Diploma d'Onore all'Esposizione di Bordeaux. Da allora ai giorni nostri, con oltre 150 anni di storia vitivinicola alla spalle, questa "faraonica" bodegas ha fatto passi da gigante, diventando una cantina simbolo a livello internazionale, grazie anche al recente progetto "Città del Vino" inaugurato nel 2006, con la nuova e supermoderna struttura dell'architetto Frank O. Gehry, a dir poco spettacolare, il cui design ricorda il museo Guggenheim di Bilbao, il più famoso e conosciuto progetto firmato dal famoso architetto canadese.



Una cantina antica ricca di storia e tradizioni, ma sempre al passo con i tempi (e lo si sente anche nella sua Reserva), in continuo rinnovamento, sempre pronta ad acquisire nuovi vigneti e nuove fette di mercato internazionale. Non solo vino nella "Ciudad del Vino", ma anche un lussuoso hotel, un ristorante stellato, una spa dove si pratica la vinoterapia, enoteca, eventi, attrazioni turistiche ecc.... insomma, siamo distanti anni luce dall'idea del vignerons, della piccola cantina a conduzione familiare, il mondo del vino, quello rurale che più mi sta a cuore... provate a cercare una foto di questa avveneristica struttura, tanto bella a vedersi, diciamo pure una “figata”, ma che impatto ha una struttura del genere in un ambiente tipicamente agricolo? Insomma se mi sono permesso di criticare il cubo e l'acino di Ceretto, in quanto opere futuriste che poco hanno da spartire con l'immagine di Langa che porto nel cuore, figuratevi questa bodegas del futuro...



Comunque passando al vino... anche qui i numeri fanno impressione, 1500 ettari vitati per la produzione di vino rosso, con uve Tempranillo, Graciano, Mazuelo e Cabernet Sauvignon e oltre 450 ettari per i bianchi con varietà Verdejo e Sauvignon Blanc. Immaginatevi la cantina, le dimensioni della barricaia, i tini di acciaio per la fermentazione, ma immaginatevi anche la vecchia cantina, quella originaria dove vengono conservate tutte le bottiglie di ogni singola annata, praticamente un concentrato di oltre 150 anni di storia. Qualcosa di monumentale…



Il vino che stappo é fondamentalmente a base di uve Tampranillo (90%) con aggiunta di Graciano e Mazuelo. Vigneti con oltre 15 anni di età su terreni calcareo argilloso situati nella Rioja Alavesa. 12 giorni di fermentazione a temperatura controllata e ben due anni di affinamento in botti di rovere americano e un anno in bottiglia. Da qui la denominazione Roija D.O.Ca Reserva.


Nel bicchiere sfoggia un rosso rubino scuro e profondo, piuttosto fluido e pulito. Il naso è di media intensità e persistenza, con un bouquet che "spinge" ma anche scontato e onestamente, non elegantissimo. C’è una decisa vena alcolica (14%vol.) a scaldare e pungere, per il resto frutta nera matura, un pizzico di spezie, una sensazione amarognola di tostatura, ma soprattutto un sacco di legno. Poco fresco e poco aperto. Al palato attacca austero, ma basta un sorso per “fare la bocca” e offrirci il suo stile internazionale, virando su note più dolciastre, un tannino "tosto" ma una certa semplicità di fondo, con poca capacità evolutiva e senza grossi punti di interesse, prima di spegnersi e ricordarci ancora una volta, che è un vino a cui piace esprimere il legno. 


Tendenzialmente piuttosto corto e didascalico, anche se di buon corpo e impatto. Pur realizzato attraverso l’utilizzo di uve autoctone e tipiche del territorio della Roija, il vino sembra rispecchiare il nuovo corso evolutivo della cantina, ovvero puntare sul moderno e “l’american style”. Metteteci anche un utilizzo dei legni piuttosto“vigoroso”, che rende la beva un po' seduta e alla lunga stancante. Come dire due piedi in una scarpa… o punti sulla valorizzazione delle uve autoctone, oppure se vuoi produrre un vino internazionale, tanto vale andare sul taglio bordolese e un utilizzo delle barriques meno invasivo, avremmo si un vino scontato, ma almeno piacevole ed elegante, con un tannino setoso ecc… e tutte quelle cose che spesso scrivo in merito ai vini bordolesi. Indubbiamente da una “riserva” che viene commercializzata dopo 3 anni di affinamento mi aspettavo qualcosa di più "importante" e con più "personalità".


Al di la di tutto rimane un vino di discreto livello, siamo comunque su una fascia di prezzo tra le 15 e le 18 euro, non possiamo definirlo un “vinaccio”, ma il rapporto qualità/prezzo è discutibile, soprattutto pensando a quanti (anche nostrani) eccellenti vini posso trovare su queste cifre (un qualsiasi Chianti classico fatto come tradizione comanda ad esempio..) 


Un po’ sono deluso e più che una bella bevuta, mi rimane solo una bella bottiglia vuota sullo scaffale.


sabato 23 marzo 2013

MERIZZO 2007 - Rosso Toscana I.G.T. - Fattoria di Faltognano


Il Merizzo nasce per il puro piacere del conte Bardsky (razza in via di estinzione) di vinificare i suoi vitigni preferiti...


Siamo ormai ad inizio primavera e qui nelle Prealpi siamo ancora sotto la bianca coltre della neve. Bisogna pazientare e tra pochi giorni la neve sarà sciolta e inizieremo a scaldarci sotto un bel sole primaverile, i milanesi torneranno ad affollare laghi e monti e in molti si raduneranno intorno ad un fumante barbecue per la consueta grigliata di pasquetta. Per il momento non ci resta che rimanere al calduccio, guardare la neve che scende, preparare un fumante piatto di carne in salmi e consolarci stappando un buon rosso che ci scalda anima e cuore. Pesco così dalla cantina questa bottiglia di Merizzo, vino amato e voluto dal conte Comparini Bardzky della Fattoria di Foltagnano, dove opera quel eno-metallaro di Domenico Tancredi, personaggio che chi segue il blog ben conosce, avendo già dedicato 2 post al suo entusiasmante progetto Chianti Rock Sangiovese in purezza da viticoltura valvolare!!

La storia è questa… Domenico mi ha spedito alcune bottiglie del suo Chianti e… "special guest" dello scatolone, ecco spuntare il Merizzo… "assaggiati questo é il vino del conte per cui lavoro"… e così dopo alcuni mesi di attesa, ho deciso che era arrivato il momento del Merizzo. Siccome sono un wineblogger ma anche un curioso e un assetato di notizie, mi sono letteralmente "sbattuto" alla ricerca di notizie in merito a questo vino e alla Fattoria di Faltognano senza trovare nulla. Le uniche notizie che posso fornirvi le ricavo quindi dall'etichetta (su cui stranamente non compare la gradazione alcolica..). La fattoria di Faltognano si trova a Vinci (dove nacque Leonardo), un salto nel medioevo tra le città di Pistoia, Prato, Firenze, Empoli. Il vino in questione viene realizzato attraverso l’assemblaggio di 4 uvaggi… in questo caso però i soliti Cabernet e Merlot non vanno completano la base di Sangiovese, come spesso capita nei tagli italo-francesi, ma vanno a mixarsi con Malvasia Nera e Pinot Noir. La fermentazione avviene in cuves di legno e l'affinamento di due anni in tonneaux a grana fine.

Il giorno dopo la bevuta, incuriosito dal Merizzo (devo essere sincero, ero un po’ prevenuto… mi aspettavo il classico blend internazionale in stile TuscanWine… e invece…) mi sono permesso di rompere le scatole a Domenico e di sfruttare la sua disponibilità per avere qualche notizia su questo Merizzo… soprattutto su come è nato questo mix di uve particolare… ecco cosa mi racconta…. 

Il Merizzo nasce per il puro piacere del conte (razza in via di estinzione) di vinificare i suoi vitigni preferiti. Le marze di Pinot Noir, Merlot e Cabernet Sauvignon sono state personalmente acquistate da lui in Austria nel 1982, mentre la Malvasia Nera si riproduce da oramai secoli in fattoria. Oggi è un vino più "tranquillo" rispetto al passato infatti stiamo usando un'altro clone di Pinot Noir prima, alla fine degli anni 90 quando è nato, era molto più austero e speziato, tendenzialmente "fuori mercato". Fu fatta una degustazione alla cieca, nel 1999, in Svezia insieme a rinomati Supertuscan, e il Merizzo 1997 fu premiato come il miglior I.g.t. venduto in Svezia. Ebbe un grande richiamo avendo dato scatto a I.g.t. più moderni e vellutati, quasi densi. Fu questo premio ad aprire la strada al mercato USA, tuttora unico mercato coltivato. Si chiama Merizzo perchè la vigna è esposta a Nord, nome tipico di Vinci, c'e' una esposizione minore ma utilizzando vitigni precocissimi come i tre francesi è possibile ritardare la vendemmia sviluppando una maturazione fenolica ottimale. La Fattoria di Faltognano è praticamente nel buio del mondo internet per voler del conte, il quale non crede a questo progresso/regresso. Preferisce invitare a cena un cliente in fattoria, piuttosto di mettere un post sui social network o sulle ...” 

Quanto raccontato da Domenico conforta le mie sensazioni degustative… il vino ricorda un po’ i blend toscani dal taglio italo-francese, ma con le sue, più o meno marcate differenze, che gli conferiscono la giusta dose di personalità. Già alla mescita non troviamo il solito vino denso, concentrato e inchiostrato, ma sfoggia un rubino scarico che rasenta il granato, piuttosto snello, ma impenetrabile. Anche al naso e alla beva tende a smarcarsi dai classici Supertuscan moderni. Niente polpa e zuccheri a mille, marmellata e vaniglia, tannini setosi ecc… il “Merizzo” se mi passate il termine è più “cattivo” e conseguentemente anche più intrigante. Sicuramente cede qualcosa in finezza, eleganza, piacevolezza, morbidezza, calore ecc… puntando maggiormente sul carattere… il naso sfoggia un bel bouquet “completo” mai ruffiano, risultando sempre vibrante con una bella spinta alcolica a scaldarci le narici. Anche alla beva denota un tocco di rusticità, di sapidità, di spigolo che gli permettono di smarcarsi dai classici tagli bordolesi. Tannino elegante ma teso, beva sempre viva e non banale, finale persistente che non tradisce. 

Insomma il Merizzo da una parte ti lascia quell’idea di vino lì… ma dall’altra riesce a mantenere un tocco “sgraziato” e un più diretto che gli evitano di cadere nel calderone dei vini "già bevuti". E questo è sicuramente un punto di interesse che gioca a suo favore.

Se vi ho incuriosito, bene, ma sappiate che correte il rischio di rimanere a bocca asciutta, perché questo vino in Italia non si vende, ed è molto più probabile che a reperirlo sia il vostro “cugggino americano”. Conte Bardsky mi hai incuriosito… e avanti così... in fondo che ci azzeccano vigna e cantina con  il web?

lunedì 18 marzo 2013

STELLA RETICA SASSELLA RISERVA 2006 - Valtellina Superiore D.O.C.G. - Ar.Pe.Pe.

Un Sassella che tiene il "pedalino del distorsore" ben premuto, di giovanil furore, ma in grado di esprimere uno stile quasi "vintage" con grande classe, che coinvolge e soddisfa anche l'ascoltatore meno predisposto a certi suoni robusti...  


Nella musica le band di riferimento, da cui spesso si generano i così detti "movimenti musicali", sono quelle che partono dallo scantinato e arrivano al successo di massa mantenendo sempre fede al proprio credo, facendo dell’integrità artistica un punto di forza, senza mai svendersi o voltare le spalle ai fans della prima ora. Non c'è svolta commerciale con l'obbiettivo di invadere le radio di mezzo mondo, ma solo la voglia di esprimere il tuo “sound” e le tue idee. E il "sound" piace... piace agli sfegatati del genere, ai puristi, ai critici più intransigenti, ma riesce anche ad entrare nelle orecchie dei più, ad appassionare nuovi ascoltatori... e quella che era musica di nicchia, diventa un nuovo punto di riferimento stilistico per molti dei gruppi che verranno. Per fare un esempio conosciuto a tutti, mi vengono in mente i Nirvana, lasciamo stare come é andata a finire, ma credo sia l'esempio lampante di una band che ha saputo raccogliere il consenso di molti (diciamolo... a sfondare) facendo la loro musica, senza se e senza ma, diventando simbolo di una generazione e di un movimento musicale, rimanendo così nella storia, per la loro unicità.

Ecco Ar.Pe.Pe per me é un po' così... 150 di storia, impronta stilistica precisa, rispetto incondizionato da parte dei Nebbiolisti più intransigenti, l'amore di chi ama i vini di "vignaioli" e le piccole produzioni. Ma anche successo di pubblico e critica, nazionale ed internazionale, i tre bicchieri e i punteggi "over 90" di WS. Il tutto rimanendo sempre fedeli alla "linea Retica", ovvero a quel caratteristico Nebbiolo Valtellinese, espressione territoriale unica, figlia di tecniche produttive tradizionali, elogio all'invecchiamento e dell'energica passione dei suoi mentori Guido, Isabella ed Emanuele... capaci di raccogliere un'importante eredità, valorizzarla in tutto il suo potenziale e portarla all’attenzione di appassionati "bevitori", vecchi e nuovi.  

Quando puoi sfoggiare, storia, stile, marchio di fabbrica, attestati di stima e soprattutto rispetto incondizionato da pare di tutti... beh, allora si può affermare che la cantina di ARturo PElizzari PErego é oggi il simbolo indiscusso della viticoltura (di qualità) delle Alpi Retiche, in grado di esprimere (almeno per quanto mi riguarda) i migliori vini rossi della regione.

I Nirvana vengono ricordati come gli inventori del “grunge”, in realtà affondano le radici nel post-punk e nell'alternative rock americano di fine anni 80 inizio 90, re-interpretandolo alla loro maniera, con un irresistibile ed esplosivo connubio di chitarre “aspre e grattuggiate” e gusto “pop” nella forma canzone... ritornelli che ti entrano in testa e non ti mollano più. Così i vini di Ar.Pe.Pe., che affondano nelle radici della tradizione vitivinicola della valle, uva Chiavennasca coltivata su terreni poveri e rocciosi, da cui si ricavano vini longevi, austeri, rustici e un po’ grezzi… Nebbiolo di montagna... ma con il tocco “pop” di chi ha saputo “ingentilire” il tutto, vini che puntano all’eccellenza attraverso una minuziosa cura della vigna, i lunghi affinamenti e le innovazioni tecniche di cantina, senza però snaturarne il carattere e la tipicità, marcando una impronta stilistica unica e riconoscibile.

La bella e innovativa cantina interrata ad impatto zero, é situata alle porte di Sondrio, le vigne che la sovrastano si sviluppano tra i 300 e i 600 metri di quota, per un totale di 11 ettari e una produzione di circa 50.000 bottiglie. Vigne di proprietà con oltre 50 anni di età accudite con grande cura, si inerpicano su terrazzamenti ricavati grazie ai caratteristici muretti a secco che disegnano il panorama vitivinicolo della Valtellina. La chiave del successo dei vini di Ar.Pe.Pe. risiede non solo nella qualità delle uve (grazie a rese piuttosto basse), ma soprattutto nella scelta di valorizzarle attraverso lunghi affinamenti nelle botti e in bottiglia. Circa una decina le tipologie di vini prodotti, con prevalenza di Sassella, proposto in ben 4 versioni, ma anche Grumello, Inferno e altre etichette, tutte prodotte con uva Chiavennasca al 100%.

Il mio personale approccio (quasi sottomisione) ai vini di Ar.Pe.Pe avviene in primis al "Nebbiolo Grapes" e in seconda battuta alla "Sorgente del Vino Live", dove, dopo una bella degustazione e chiaccherata con Mirco, mi sono portato a casa una bottiglia di Rocce Rosse (che ancora riposa in cantina e di cui vi scriverò in futuro) e una di Stella Retica, un Sassella Riserva del 2006, che mi sono aggiudicato per 15 euro. Vinificato tradizionalmente per 15 giorni in botti di legno da 50 ettolitri e affinato per 2 anni nelle grandi e storiche botti, costruite in legno di castagno mischiato con rovere e acacia. Anche in bottiglia i tempi di affinamento sono lunghi (circa 3 anni!!)... il tutto per regalarci il Sassella più giovane della casa!!

Nel bicchiere nebbioleggia con le sue tinte granato, dimostra da subito un naso vigoroso ed incisivo, intenso e persistente, pungente e vinoso, con buon “calore” alcolico (13%vol.). Vino di carattere e personalità, un ventaglio olfattivo in continua evoluzione, inizialmente fresco e di buon frutto, vira verso note floreali e speziate con suggestioni di "montagna", roccioso terroso ed erbaceo  …anche alla beva si apprezza il carattere deciso, sapido, minerale, di ottima struttura. Esprime vigore giovanile, teso e nervoso, ma basta una sorsata in più per apprezzarne anche il buon equilibrio, grazie ad un tannino vivo ma rotondo, che facilita la beva e ci consegna un vino che sa sfoggiare anche eleganza e pulizia.

Un Sassella che tiene il "pedalino del distorsore" ben premuto, di giovanil furore, ma in grado di esprimere uno stile quasi "vintage" con grande classe, che coinvolge e soddisfa anche l'ascoltatore meno predisposto a certi suoni robusti... Questi sono i vini che più mi piacciono, autentici, territoriali ma allo stesso tempo curati e ben fatti. La Stella Retica ha voce roca e profonda come quella di Kurt Cobain, ma sa scalfirti il cuore come pochi.

domenica 10 marzo 2013

CINQUE TERRE 2011 - D.O.C. - Forlini Cappellini


...suggestioni di macchia mediterranea, sale marino, resina di pino, agrumi, rocce bagnate, erbe selvatiche.... quasi a  riassumere le Cinque Terre in un sorso...


Torno con piacere a bere e scrivere del CinqueTerre D.O.C., di cui avevo già scritto in passato, quando vi parlai della versione "base" della Cantina Sociale. Ne scrissi con entusiasmo, qualcuno mi "accusò" di essere stato piuttosto generoso (forse giustamente, ho avuto modo di riprovarlo e ne ho un po’ ridimensionato il giudizio, ma tant’è… le sensazioni che un vino lascia sono anche figlie del momento in cui lo si beve…)... ma come si fa a scindere il bevuto e le sue caratteristiche organolettiche da tutto quello che c'è dietro? Come faccio a non esprimere entusiasmo e incondizionata ammirazione al cospetto di un territorio unico e di una viticoltura altrettanto rara e preziosa? Come si fa a non innamorarsi di queste terrazze, di queste cremagliere cigolanti, di questi vignaioli che ceste in spalla si arrampicano su crinali che arrivano al 90% di pendenza? Come si fa a non portar rispetto per quella che definii "una sfida tra il vignaiolo e la sua terra, in completa simbiosi e complicità, tanto da diventare elemento di vitale importanza per la salvaguardia del territorio, la sua valorizzazione culturale e ambientale".

Molto semplicemente "non ce la si fa"... e allora preparatevi ad un post di elogi nel raccontarvi il bianco delle CinqueTerre prodotto da quel "pezzo" di vignaiolo che é Alberto Cappelini. Una piccola ed eroica cantina in quel di Manarola, un marchio storico, sugli scudi soprattutto per il suo Sciacchetrà, che viene prodotto solo nelle annate migliori e spero un giorno di riuscire ad assaggiare...

Germana Forlini e Alberto Cappellini insieme al figlio Giacomo sono vignaioli vecchio stampo e gestiscono questa piccola e preziosa realtà vitivinicola, costituita da poco più di un ettaro di proprietà e una produzione annua che non arriva a 10.000 bottiglie. Poche direte voi, ma in un'area particolare come quella delle Cinque Terre, acquista un ruolo di assoluto valore. La produzione é principalmente centrata sul bianco D.O.C., vino protagonista di questo post, che ben rappresenta nella totalità delle sue caratteristiche, il forte legame tra il vignaiolo e la sua terra, diventandone una perfetta rappresentazione, un fermo immagine di un terroir unico, una fascia di verdi ed impervi vigneti tra il blu del cielo e quello del mare. 

Il timbro produttivo é assolutamente tradizionale, la coltivazione della vite qui non si é evoluta più di tanto, meccanizzazione neanche a parlarne, i terrazzamenti a picco non lo consentono e una coltivazione che giustamente viene definita "eroica", diventa per la famiglia Cappellini un "normale e abituale” gesto di quotidiana vita rurale. 

Il vino é costituito dalla miscela di tre uve autoctone, il Bosco, il Vermentino e l'Albarola (con predominanza di Bosco), provenienti sia da vecchi ceppi di quasi 70 anni sia da altri più recenti, su terreni acidi e privi di calcare, sabbiosi e ricchi di scheletro, con una densità di 8000 ceppi/ha e una resa di circa 70 ql/ha. Le uve vengono vendemmiate nel mese di settembre, vinificate in bianco a temperatura controllata, con maturazione in acciaio e alcuni mesi in bottiglia. L'annata che stappo é la 2011, caratterizzata da buone condizioni climatiche, che ha portate le uve ad una completa maturazione, ricavandone vini di grande espressività. 

Come nel caso del nostro Cinque Terre... ritroviamo un vino "apparentemente" timido, vestito di un giallo paglierino piuttosto tenue, non troppo concentrato, e decisamente magro. All’olfatto si esprime in progressione (cosa che avverrà anche al palato), un cuneo olfattivo che si fa spazio nel nostro naso con grande decisione, inizialmente schivo, via, via sfoggia nerbo e carattere, decisamente accattivante e di bella tensione, con le sue "amarognole" note pungenti, ricche di suggestioni marine, roccia, erbe e agrumi. Anche al palato viene fuori dopo 2 o 3 sorsi con la sua sapida mineralità. Scivola fresco, dinamico e pulito, una buona acidità accompagnata da una vena alcolica pungente (13%vol.) spingono verso un finale amarognolo che ci riporta a quelle suggestioni di macchia mediterranea, sale marino, resina di pino, agrumi, rocce bagnate, erbe selvatiche.... quasi a  riassumere le Cinque Terre in un sorso, così ben illustrate nella bella e colorata etichetta a tinte pastello.

Proprio la spiccata mineralità è il suo punto di forza e lo rende un bianco per certi versi impegnativo, la beva mai  polposa e piaciona, sempliciotta e facile, ma sempre presente, ricco di tensione gustativa e personalità affilata, in grado di esprimere e rappresentare con forza la viticoltura eroica praticata su questi terreni impervi. 

Non voglio dispensare grossi consigli, dico solo che se amate i vini di territorio, almeno una volta nella vita regalatevi una passeggiata e un buon bicchiere di Cinque Terre come questo, direttamente sul posto, per un dipinto di suggestioni che difficilmente dimenticherete.. si richiede solo uno sforzo supplementare, per capire il vino, per il suo prezzo di vendita impegnativo (sulle 18 euro circa), per arrampicarsi sul pendio e trovare il punto giusto per stappare la bottiglia e ammirare un panorama unico. Incondizionata ammirazione per questo vignaiolo autentico.

giovedì 7 marzo 2013

ROCCA DI FRASSINELLO 2006 - Maremma Toscana I.G.T. - Rocca di Frassinello



Vino alla moda, vino dell'enologo, tuscan wine, vino per i salotti buoni, vino borghese, vino omologato... disprezzatelo come più vi piace "compagni" di bicchiere... ma rimane un vino stilisticamente ineccepibile... bevete e godete... poi domani torniamo alla ricerca di un vino che possa raccontarci la storia di qualche piccolo vignaiolo di terroir. Come piace a noi.


Avevo già scritto qualcosa in merito alla Rocca di Frassinello, quando stappai il loro "Le Sughere di Frassinello", a cui vi rimando per leggere un po’ di info relative a questa cantina, fiore all’occhiello della nuova enologia toscana, che dopo Bolgheri, negli ultimi anni sembra aver trovato in Maremma la nuova terra promessa per la produzione di Tuscan Wine. (tra l'altro già conquistata da Rivella e  Zonin)

Anche in questo caso per la cantina del “BaffoNero” (il loro Merlottone da 100 bombe!) tutto come previsto, dalla cantina “spaziale” disegnata da “nientepopòdimenoche”… Renzo Piano, alla join ventur con la Francia che conta (Barone di Rothschild-Lafite) ai vini da paura per Wine Spectator (se é vero che la paura fa 90... come i punteggi assegnati da WS). Tutto molto bello, tutto molto figo, ma anche tutto troppo prevedibile. Quando stappi la bottiglia sai già cosa aspettarti… si ok, qualitativamente vai a colpo sicuro, ma manca un po’ di curiosità, viene meno la voglia di stappare per scoprire come sarà il vino, quale sarà il suo carattere, che storia vorrà raccontarci, viene meno la poesia e l'immaginazione… insomma sai già che berrai un vino eccellente ma che ben presto dimenticherai, nel mucchio di bottiglie di taglio italo-bordolese e botte piccola che tendono ad assomigliarsi un po’ tutte e a cui siamo ormai abituati. 

Detto questo devo riconoscere a certi produttori (soprattutto in Toscana, come ad esempio il Grattamacco di Collemassari) la capacità di tirarne fuori vini dal taglio internazionale, un po' omologati se volete, ma perfetti e per certi versi esaltanti in complessità, eleganza, equilibrio, stile e potenza.

Il Rocca di Frassinello, che fa suo il nome della cantina, essendo il suo vino "rappresentativo", la prima etichetta, "le grand vin" secondo la classificazione bordolese, gioca proprio sul binomio Bordeaux-Toscana, espressione stilistica del progetto italo-francese tra Paolo Panarei dei Domini Castellare di Castellina e il Domanin Barone di Rothschild-Lafite. L'assemblaggio scelto, esprime i due territori, 60% di Sangiovese e a completare il blend Merlot-Cabernet Sauvignon in egual misura. Anche l'impronta dell'enologo é a due mani, con l'intervento di Christian Le Sommer, di Rothschild-Lafite e Alessandro Cellai (famoso oltre che per i Sodi di San Nicolò di Castellare anche per il suo Pinot Nero di Podere Monastero, sempre a Castellina in Chianti).

Il vino, la cui prima annata prodotta risale al 2004, viene vinificato in acciaio e affinato in barriques nuove per circa 14 mesi e per un anno in bottiglia. Stupisce come un vino con poca storia alle spalle e proveniente da vigne relativamente giovani, riesca ad esprimersi fin da subito a livelli così alti. Per la serie... "questo é il vino dell'enologo" ... siete avvisati... se il libro di Corrado Dottori é la vostra bibbia... se le recensioni di Robert Parker (che ha assegnato 92 punti a questa annata) non ve le filate nemmeno al gabinetto... bé... non vi resta che risparmiare le 30-35 euro necessarie per accattarvi questa bottiglia in enoteca. 

Comunque al di là delle personali idee sul "mondo del vino" e i "tuscan wine" (che chi legge il blog dovrebbe avere già capito da che parte sto), cerco di rimanere sempre lucido (anche a bottiglia finita) e vado a raccontarvi il bevuto sgombro da preconcetti di ogni genere, per quanto, vigna, vignaiolo e terroir dovrebbero essere sempre fattori fortemente legati tra di loro, legame importante in sede di valutazione e di scelta.... per questo non entrerei mai deciso in enoteca per acquistare una bottiglia del genere.... così come entrerei mai in un concessionario di lusso per comprarmi una bella macchina... Ma se una bella macchina rimane una bella macchina, é altrettanto vero che un vino ben fatto rimane un vino validissimo...  e visto che non siamo qui a "smacchiare giaguari"... ma più semplicemente a scrivere "racconti di eno-esperienze"... senza troppo "menarla su" stappo, bevo e ve la racconto...
 
Nel bicchiere non aspettatevi spunti originali, l'idea di base é produrre un vino Bordeaux style... Il colore è un rubino intenso e profondo, abbastanza concentrato, il ventaglio olfattivo è ampio ma tagliente, l'italianissimo Sangiovese fa la sua parte, c’è tensione alcolica e una vinosità di fondo a conferire quel tocco in più, ad un bouquet che affonda nei classici sentori dei supertuscan barricati, un bel frutto rosso-nero maturo, ma soprattutto note di spezie e legno, come pepe, cannella, tabacco, caffè, il dolciastro della vaniglia e della liquirizia, cuoio e grafite, avvolte da una leggera tostatura di fondo. Al palato ha un bel impatto, caldo e robusto, corposo, con una piacevole sensazione alcolica (13.5%vol.). Non pensate però ad un supertuscan tutto muscoli, il vino è sempre in equilibrio, grazie ad un utilizzo sapiente dei legni, che lavorando sui fianchi, conferiscono finezza ed eleganza, senza risultare mai invadenti. Il tannino è vigoroso ma vellutato, consentendo una beva appagante e mai pesante, in un mix ben bilanciato tra una consistenza polposa, il piccantino delle spezie e piacevoli note balsamiche, che introducono un finale lungo e persistenze dal retrogusto di vaniglia e liquirizia. 

Inutile dire che il vino sfoggia completezza ed eleganza, ideale se dovete invitare a cena una nuova "fiamma", questo Rocca di Frassinello, può essere ottima arma di conquista e seduzione. 

Vino alla moda, vino dell'enologo, tuscan wine, vino per i salotti buoni, vino borghese, vino omologato... disprezzatelo come più vi piace "compagni" di bicchiere... ma rimane un vino stilisticamente ineccepibile... bevete e godete... poi domani torniamo alla ricerca di un vino che possa raccontarci la storia di qualche piccolo vignaiolo di terroir. Come piace a noi.

domenica 3 marzo 2013

GATTINARA SELEZIONE 2007 - D.O.C.G. - Travaglini

...tecnica e precisione stilistica, in questo caso sono al servizio di un vino sempre presente, che non perde mai il suo fascino gustativo, dove il carattere del Nebbiolo vien fuori con eleganza e una buona dose di freschezza...


Da quel "esercizio di stile" che é il Nepomuceno  di Cantrina, ad un grande classico della tradizione enologica piemontese, il passo non é poi così breve, e il sottoscritto da fan del Nebbiolo, non poteva che accogliere con estremo piacere questa bottiglia di Gattinara Selezione.

Siamo infatti a poco più di 50km da casa mia, nell'area vitivinicola dell'alto Piemonte, tra le Alpi, il lago Maggiore e il massiccio del Rosa sullo sfondo... una cartolina di grande suggestione. La provincia é quella di Vercelli e da questi parti il vitigno principe é il Nebbiolo, che qui chiamano Spanna. Il terreno di origine glaciale, piuttosto acido, costituito da morene, sabbie e porfidi, oltre ad un clima che giova di importanti escursioni termiche tra il giorno e la notte grazie alle correnti che scendono dalle vicine montagne, favoriscono la crescita di uve qualitativamente eccellenti, che regalano vini complessi, minerali, strutturati e longevi.

Il bello di questo territorio, sta anche nella sua mancata "esplosione". Si fanno ottimi vini, ma a produrli sono soprattutto cantine minuscole o produttori di antica tradizione, si respira ancora un approccio rurale, dove il vino viene vissuto nel "quotidiano", con estrema semplicità. Le poche cantine sono concentrate quasi tutte nel centro di Gattinara, quasi una comunità di vignaioli, un passo indietro nel tempo se facciamo un paragone con le "nobili" e "turistiche" Langhe.

Il produttore di cui vi scrivo oggi é Travaglini, un pezzo di storia per questa D.O.C.G., basti pensare che si tratta della più grande cantina di Gattinara, con oltre 40 ettari vitati e una produzione di circa 250.000 bottiglie l'anno. Azienda a conduzione familiare fondata nel '58 ed attualmente gestita da Cinzia e il marito Massimo, che hanno ereditano gli insegnamentI del padre Giancarlo, capace di far crescere nei numeri e nella qualità il marchio Travaglini, contribuendo alla fama e ai riconoscimenti che questo vino ha ricevuto anche oltre confine.

Il Gattinara Selezione é un vino dal lungo affinamento, ben 3 anni, di cui almeno 2 anni in botti di legno. Circa il 30% del prodotto viene affinato in barrique per quasi un anno. 6 mesi di riposo in bottiglia. Quella che stappo é dell'annata 2007, prodotta in 180.000 unità, gradazione alcolica di 13.5% vol. e prezzo in enoteca sulle 19-20 euro.

Nel bicchiere troviamo il classico vino "nebbioleggiante", a partire dal rosso rubino con unghia granata e una consistenza piuttosto fine, elegante e pulita. Anche al naso non si smentisce, vinoso e un po' pungente, leggermente alcolico ma ben equilibrato da una bella finezza, senza risultare mai eccessivamente carico o saturante. Ha buona intensità e persistenza, note di frutta a bacca rossa e sottobosco, speziatura fine (pepe, cannella, chiodi di garofano), ma soprattutto sentori floreali (rosa e violetta) e balsamici a conferire quel tocco in più. La beva risulta eccellente, fine e "liscia", ben bilanciata, la trama tannica é serrata ma sferica, il frutto é appagante ma mai grasso. Asciutto ed intenso, il vino sfila sul palato sapido e leggermente terroso, con buona tensione, verso un finale appagante, in bilico tra il fruttato, le note minerali e la caratteristica sensazione amarognola.

Una bevuta che non tradisce mai le attese dei nebbiolisti. Difficile trovargli un difetto, un eccesso di perfezionismo forse, un po’ ruffiano forse…. ma tecnica e precisione stilistica, in questo caso sono al servizio di un vino sempre presente, che non perde mai il suo fascino gustativo, dove il carattere del Nebbiolo vien fuori con eleganza e una buona dose di freschezza, considerando che stiamo pur sempre parlando di vini di grande struttura e longevità, che soprattutto in gioventù, possono risultare potenti ed austeri. Travaglini esprime attraverso il suo Gattinara, un vino che non deluderà gli amanti del genere, ma anche gli amanti del bere "bene".

Conoscendo un po' la zona e avendo provato diversi produttori, mi sento di collocare questa selezione a metà strada tra le versioni più ruspanti della categoria (come Caligaris e Patriarca), quelle più territoriali in stile "vino d'altri tempi" (come Franchino, che adoro) e quelle più eleganti e nobili in stile Osso S.Grato (Antoniolo).

Il buon rapporto qualità-prezzo, la facile reperibilità, l’inconfondibile e stilosa bottiglia assimetrica, fanno del Gattinara di Travaglini un classico consigliatissimo per le vostre polentate invernali. Più in generale, almeno per chi abita in zona, vi consiglio un giro al paesello, soprattutto nel week-end della festa dell’uva, imperdibile appuntamento popolare innaffiato da ottimi vini locali, Gattinara in primis, esempio di sana e allegra convivialità tra le persone nel nome del vino.

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da "Le vie del vino" di Jonathan Nossiter... < - In cantina questo Volnay, che qui é a 68 euro, ne costa più o meno 25. Quindi non sono i De Montille ad arricchirsi. Ma quando arriva a Parigi o a New York, il vino costa almeno il doppio che dal produttore. - Quindi per noi che abitiamo in Francia val la pena di andare a comprare direttamente da lui. - Si in un certo senso, il ruolo dell'enoteca in città è quello di aprirti le porte per farti scoprire il tuo gusto personale, e di esserti utile quando hai bisogno di qualcosa rapidamente. Poi spetta a te stabilire una relazione diretta con il produttore >

NON STRESSATECI IN ENOTECA !!

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...Anche se sono un po’ più giovane e indosso il parka con le pins non significa che entro per mettermi sotto il giubbotto le bottiglie di Petrus fiore all’occhiello della vostra enoteca, quindi evitate di allungare il collo o sguinzagliarmi alle spalle un commesso ogni volta che giro dietro allo scaffale.