sabato 25 gennaio 2014

ARPAGONE RISERVA 2007 - Montecucco Sangiovese D.O.C. - Prato al Pozzo

Un grande Montecucco riserva che merita tutta la vostra attenzione... mediaticamente pochi ne parlano, ma quella di Prato al Pozzo é una delle più interessanti "piccole" realtà sorte in terra di Maremma.



Devo obbligatoriamente iniziare questo post con 2 ringraziamenti. Il primo va a Stefano, mio caro amico per avermi fatto conoscere Francesca Quiriconi e i suoi vini, il secondo va ai ragazzi del Folletto25603,  organizzatori de La Terra Trema per aver portato a Milano Prato al Pozzo e i suoi prodotti. Per un varesino come me, sarebbe stato impossibile scoprire questa interessante realtà agricola, mediaticamente poco "chiacchierata"... nessuna traccia nelle guide in mio possesso, nessun sito internet (almeno fino a poco tempo fa) e per gusto personale, tra migliaia di interessanti bottiglie, diventa difficile investire sulla Maremma "a scatola chiusa", ultimamente terra di conquista per investitori stranieri e business man, che legano i propri interessi economici a quelli del vino... 

Anche questa é una forma di eno-snobbismo, ok, perché effettivamente all'interno di questa babilonia di vitigni internazionali e tanto brand, ci sono denominazioni come quella di Montecucco, che annoverano cantine di sicuro interesse e ottime prospettive future, persone che producono vino con grande passione e amore per la terra, agricoltori a loro modo resistenti e dissidenti, nella salvaguardia della cultura rurale della campagna Toscana. Fatto sta che nel 2011 (se non ricordo male) mi sono recato al Leoncavallo e dopo un assaggio e due chiacchiere ho acquistato questa bottiglia di Arpagone Riserva, il pezzo "pregiato" della produzione di Prato al Pozzo. 

Non sono nuovo a questa denominazione, ho già assaggiato in passato la riserva di ColleMassari, ma soprattutto ho avuto modo di scrivere delle versioni dell' Az. Agr. Sant'Anna e di Campi Nuovi. Con l'Arpagone Riserva alziamo ulteriormente il tiro, anche a livello qualitativo.

Francesca Quiriconi (e marito), ha realizzato il suo sogno nel 2003 diventando contadina e vignaiola. La sua azienda ha preso il nome di Prato al Pozzo e annovera 11 ettari coltivati tra oliveto, seminativi e vigneti (circa 1,5 ettari). Il tutto a Cinigiano, nell’alta Maremma Toscana, alle pendici del monte Amiata sulla collina a sud di Montalcino, nel cuore della denominazione Montecucco. Siamo quindi al cospetto di una cantina a produzione familiare e artigianale, ma che può vantare nel suo piccolo, uve di assoluta qualità, grazie all'ottima esposizione dei vigneti, una giusta ventilazione e alla composizione argillo-calcarea del terreno. Come si dice... il vino buono si fa i vigna, é li che il vignaiolo deve lavorare con il massimo della cura e delle attenzioni, in cantina poi bisogna solo evitare di rovinare il frutto della terra. A Prato al Pozzo lo sanno bene, per questo le piante hanno rese basse e non subiscono alcun intervento chimico, solo trattamenti a base di rame e zolfo, con utilizzo di letame come fertilizzante. In cantina niente trucchi, macerazioni senza controllo delle temperature e fermentazioni spontanee. La stessa scelta di non concentrare tutti gli sforzi nella monocoltura della vite, guarda al mantenimento della bio-diversità, così come il progetto "Amiata Responsabile" a cui aderiscono, guarda ad un'agricoltura sociale, strumento per favorire la coesione sociale, la sostenibilità e la partecipazione ai processi di sviluppo locale.

La produzione vinicola di Prato al Pozzo poggia soprattutto sul Sangiovese, uvaggio tipico di questa zona, da cui si ricava il vino più rappresentativo, ovvero il Montecucco Sangiovese Arpagone. Nelle annate migliori viene realizzata anche la versione Riserva. A completare la batteria abbiamo anche il Piede Rosso, un I.G.T. a base di Cabernet Sauvignon e un Vermentino in purezza, unico bianco della cantina. 

Lo stappato di oggi é l'Arpagone Riserva 2007, e prende il nome da "L'Avaro" di Moliere, così come il vigneto, per via della scarsità della sua produzione. Per questo vino vengono utilizzate solo le migliori uve attraverso un' attenta selezione e solo le annate ritenute "qualitativamente" adeguate, ne permettono la produzione. Come previsto dalla disciplinare del Montrecucco Sangiovese D.O.C. (se non sbaglio D.O.C.G. dal 2011)  vengono impiegate uve Sangiovese per il 90%, mentre a completamento si utilizza il Cabernet Sauvignon. La vendemmia manuale avviene verso fine settembre, con 15 giorni di macerazione e 30 mesi di affinamento, 24 in piccole botti di rovere e 6 in bottiglia. 

Si presenta vestito di un rubino scuro con sfumature granato. Vino consistente, vivo e discretamente elegante, con bordo netto e "lacrime" lente. Il resto é proprio quello che ti aspetti da un Montecucco senza fronzoli... naso di grande intensità e persistenza, con ventaglio olfattivo ampio e caratteristico dei Sangiovesi invecchiati a lungo nelle barriques. Rotondo e caldo, con (almeno inizialmente) una pungente  componente alcolica (14%vol.) che spinge un frutto rosso (lampone e ciliegia) ben maturo, accompagnato da sensazioni speziate, bacche di cannella, di vaniglia e di liquirizia, profumo di torrefazione, cacao in polvere, accenni fumè e richiami terrosi. Alla beve riesce a colpire per corpo e avvolgenza, vino caldo e tondo dalla trama tannica robusta ma vellutata. Appagante e succoso, grazie ad una piacevole sapidità, che riesce ad evitare un'eccesso di "polposità", mantenendo scorrevole e piacevole il sorso, che si spegne lungo e persistente con ritorno delle note di frutto e spezie dolci che ci lasciano "piacevolmente" appagati. Struttura, corpo, longevità, robustezza complessità aromatica, stilisticamente si attesta di diritto nella cerchia dei grandi rossi di Toscana.

A voler fargli le pulci, manca un po' di eleganza, finezza e mistero... da una vignaiola forse ci si attendeva un vino dal taglio più "femminile", mentre l'Arpagone si dimostra decisamente "maschio"... A differenza dei vini più fini, dove predominano le note eteree e sussurrate, é vino a cui piace svelarsi senza timidezze ed esprimersi con tutta la sua carica gusto-olfattiva. E questo come dico sempre, é una cosa positiva se ne rappresenta senza filtri il carattere del territorio, la ruralità e l'artigianalità del suo vignaioli, soprattutto oggi, in cui molti prendono ad esempio l'impronta stilistica della Borgogna, finendo per "sgrassare" i vini a tutti i costi. Altra nota... 24 mesi di barriques si fanno sicuramente sentire, quindi pur senza avvertire forzature, bisogna onestamente ammettere che é un vino indicato soprattutto per gli amanti del genere, posso comunque garantire anche per il resto del popolo enoico amante della botte grande... non abbiate pregiudizi perché ne vale comunque la pena. 

Prezzo di acquisto al banco assaggi (3 anni fa), di 16 euro, non pochissimi tenendo conto che si tratta (almeno in teoria) del prezzo sorgente, ma posso garantirvi che vini toscani di questo livello ve li fanno trovare in enoteca a non meno di 25-30 euro, quindi esborso più che giusto. Da appassionato e conservatore di bottiglie, mi permetto un appunto (per quanto superfluo) sulla veste grafica dell'etichetta che non rende giustizia all'importanza del vino. Ma vabbè... anche alcuni degli album più belli della storia hanno avuto copertine orrende... quindi fa niente, al di la dell'idea grafica credo sia la carta effetto lucido a sminuirne il valore. (Giudizio da consumatore, diciamo che se non lo conoscessi, affiancato ad altre decine di bottiglie non mi attirerebbe).

Prima di concludere una tirata di orecchie ai miei compagni/colleghi wine-blogger, ai giornalisti di settore, a chi organizza le fiere, scrive le guide... e mi rivolgo soprattutto a chi come me bazzica nel circuito più "artigianale" se così possiamo chiamarlo... é un peccato che solo i ragazzi de La Terra Trema abbiano dato la giusta attenzione mediatica a questa cantina... in un contesto (basta fare un giro su Google) dove in pochi ne parlano... soprattutto per il valore etico del progetto agricolo di Francesca oltre che per la qualità dei vini proposti (per non parlare dell'ottimo extravergine).

I loro vini non sono facili da reperire, ma da poco é on-line il sito internet di Prato al Pozzo, quindi contattateli o ancora meglio andate a trovarli alla Terra Trema o perché no a Cinigiano, meritano la vostra attenzione e sono sicuro che scoprirete una piccola grande cantina che non vi deluderà. Per la serie "Grandi vini di piccole Cantine".

domenica 19 gennaio 2014

Editoria > GRANDI VINI D'ITALIA... in viaggio dentro al vino.

Siete in centro per lo struscio del sabato pomeriggio sotto i portici (ahhhh che odio...), passi davanti alla vetrina della Feltrinelli... dai una sbirciatina e ti becchi il faccione di Fabio Volo e quello di Gordon Ramsay che ti puntano. Quattro passi più avanti ecco l'enoteca... vetrina ingolfata di magnum Ca del Bosco Prestige e rossi toscani... di quelli "super" da vendere nelle cassette di legno... mano in tasca ed impatto tattile con un bigliettone da 50 euro...  ci pensate un attimo poi spingete la porta ed entrate... é il momento di fare acquisti! Avete due possibilità... ma se state leggendo questo post so già dove siete entrati... con 50 euro si compra una bella bottiglia ed un winelover non può resistere inerme di fronte ad un'enoteca... neanche ad una di quelle spocchiose del centro... se siete astemi beh... probabilmente state girovagando tra gli scaffali della Feltrinelli, ma dubito che un astemio finisca su un blog dove si parla esclusivamente di vino.. Male, anzi molto male, perché molti degli appassionati che si sono imbucati in enoteca, molto probabimente si sono persi "Grandi Vini d'Italia" l'ultima fatica editoriale di Federico Graziani e Marco Pozzali, il duo che l'anno scorso si é guadagnato il rispetto dell'Italia enoica con la guida "Grandi vini di piccole cantine" e quest'anno si ripresentano con una nuova fatica.

Prima di raccontarvi del libro vorrei motivare la personale scelta di dedicare un post a “Grandi vini d’Italia”, visto che su questo blog scrivo soprattutto di eno-esperienze, che tradotto nel concreto, significa scritture notturne dedicate alle bottiglie scolate dopo una giornata di lavoro, a cui si aggiungono gli scritti sulle scorribande domenicali tra fiere e cantine. Premesso che da appassionato di vino mi piacciono quasi tutti i libri che trattano l’argomento, negli ultimi anni un po’ di letture interessanti le ho affrontate (non solo Grandi vini di piccole cantine, ma anche Vini e Terre di Borgogna del duo Favaro Gravina, la dedica di Gian Arturo Rota e Nichi Stefi a Veronelli, Vino (al) Naturale di Alice Feiring, la guida al Vino Critico di Officina Enoica e soprattutto Non è il vino dell’enologo di Corrado Dottori), tutti libri che molti di voi ben conoscono e di cui si è scritto e dibattuto su diversi blog, motivo per cui mi sono limitato alla lettura, senza postare nulla. 

L’altro giorno invece sono capitato sul sito grazianipozzali.it, e ho notato nei link, che di questo libro si é scritto soprattutto in merito alla presentazione di Milano, non ricordo wine-blogger che gli hanno dedicato la giusta attenzione dopo averlo letto. Vuoi vedere che molti “colleghi” letto il titolo, hanno pensato al solito “mapazzone” stile guida, con i soliti grandi nomi che già conoscono a memoria e l’hanno snobbato?? Chi può dirlo… comunque ve ne pentirete… Se é pur vero che chi "mastica" vino conosce già il 90% delle bottiglie inserite tra le imperdibili 100, sappiate che per prima cosa il libro non è propriamente una guida o almeno non va inteso in quanto tale… e quindi seconda tirata di orecchie hai colleghi blogger, molti dei quali intenti a scrivere sull' odierna inutilità delle guide, ma altrettanto scaltri nel pubblicare la lista dei "Tre Bicchieri" (evidentemente favorisce il click dell'internauta), ma purtroppo nessun post per Grandi Vini d'Italia.

Eviterò di scrivervi il palmares dei due autori (vi rimando al loro sito) e passo al libro. Per prima cosa é costoso, ma tant'è... le bottiglie migliori si sa, spesso costano... graficamente molto ben fatto, piacevole da sfogliare, copertina rigida, carta patinata, foto d'autore (by Francesco Orini), bello averlo tra le mani. Nonostante la suddivisione in sezioni risulta scorrevole, passionale e coinvolgente nella lettura. Il contenuto?? Trattasi di un viaggio dentro l'Italia del vino.. ingresso dal traforo del Monte Bianco e arrivo a Pantelleria per una siesta rigenerante da Ferrandes, dopo aver scollinato tra le vigne di tutta Italia. 10 grandi bottiglie per ognuna delle dieci sezioni ad esse dedicate... una carta dei vini che accompagna il lettore nella storia, la cultura, i territori e gli uomini del vino. Niente mappatura geografica, niente classifiche e punteggi centesimali,  ecc... ma suddivisione "dinamica" incentrata sul carattere dei vini, sulle loro peculiarità, sulle similitudini climatiche e territoriali, che da al lettore un punto di vista originale rispetto ad altri scritti sul vino, indubbiamente molto più passionale ed emotivo, che guarda oltre all'aspetto "organolettico". 

Eccoli i grandi 100... si parte con i 10 vini della Gioia e quindi bollicine... per passare a quelli della Montagna, con Trentino Alto Adige, Valle d'Aosta e Valtellina a comporre la lista. Quelli del Vento, incentrati sui vigneti spazzati dalla bora in Friuli, con l'aggiunta (se non altro per via del nome) del Costa del Vento di Massa (uno dei miei bianchi preferiti..). Ripercorriamo i chilometri di coste della nostra penisola con i vini del Mare, li dove le vigne si stagliano tra il blu del cielo e quello del mare; i vini del Sole, accesi, calorosi, vitali, forti. Con il Fuoco andiamo alla scoperta di vini dal carattere unico, figli dei vulcani e dei terreni vulcanici, Etna e Vesuvio, ma anche Soave e Gambellara. Ovviamente i vini della Terra, i grandi classici dei più importanti luoghi del vino... Langhe e Montalcino, Valpolicella e Chianti Classico. Strettamente collegati alla terra, i vini della Tradizione, quelli con cui si identificano l'appartenenza, la storia, la cultura e le tradizioni di un luogo. Il vino é frutto dell' indissolubile rapporto tra la vigna e il suo vignaiolo, non potevano quindi mancare i vini degli Uomini e il panorama vitivinicolo italiano così ricco di sfaccettature, ha numerose facce da mostrare, produttori speciali e ricchi di personalità che hanno giocato un ruolo importante nell'enologia nazionale. Qualunque sia stato il tuo "viaggio" alla fine non ti resta che metterti davanti al caminetto a raccontare gli aneddoti, ricordare i luoghi, i profumi e i sapori, esprimere sensazioni e pensieri... qui entrano in gioco i vini da Meditazione, degna conclusione di questo viaggio dentro al vino.

I grandi imprescindibili classici non mancano... Sassicaia c'è... Monfortino c'è... Le Pergole Torte c'è... e molti altri ancora. Anche i grandi vignaioli non mancano... Rinaldi, Mascarello, Valentini, Quintarelli e molti altri ancora... sul resto della selezione possiamo discuterne per giorni (in Italia siamo tutti allenatori!), personalmente é piaciuto ritrovare vini e produttori che anch'io ho inserito nelle mie top ten annuali, dalla Vernaccia di Contini ai grandi bianchi di Franco Terpin, al classico Montevetrano fino al 5 Terre di Forlini Cappellini e finalmente, vorrei aggiungere, qualcuno rende merito a questo "eroico" vignaiolo. Non aggiungo altro per non togliervi il piacere della scoperta...

Grandi vini d’Italia è un libro “longevo” che scalfisce il tempo... tra 10, 20 o 30 anni molti di questi vini saranno ancora i più grandi d'Italia. E' un libro di quelli da tenere sulla mensola insieme alle impolverate bottiglie che hanno scalfito la nostra esistenza, da sfogliare nel ricordo di alcune memorabili bevute o ancora meglio per sognare un giorno di riuscire ad assaggiare tutte quelle che ci mancano. Per i neofiti poi, questa diventerà molto più di una guida, una vera e propria bibbia della storia e della cultura vitivinicola italiana. Senza star qui a stilare la solita personale e faziosa lista sui vini che mancano e quelli che sono di troppo, devo dire che la scelta è stilata con rigore e senza pregiudizi, senza faziosità.... vini nobili e costosi, vini “naturali e vini di vignaioli, autoctoni o internazionali, barriques o botte grande, vinificati in bianco o bianchi macerati, poco importa... tutti possono coesistere purché ne siano rappresentazione culturale e territoriale. 

Libro vivo e pulsante, si legge a "garganella" pagina dopo pagina, giusto il tempo di "svuotare" una buona bottiglia.. difficile non leggerlo in un solo sorso come si fa con i migliori romanzi, difficile non ri-leggerlo per meglio coglierne le sfumature come si fa con i migliori vini. Poco importa se molte di queste bottiglie le conoscete a memoria, la capacità di scrittura di Graziani-Pozzali é quella di un grande vino, emotivo, coinvolgente, passionale in grado di farti viaggiare con la mente a chilometri di distanza, tra filari, cantine e vignaioli. 


Vorrei avere almeno la metà della capacità di sintesi e scrittura di questi due... leggete in quattro righe, come riescono a rendere "perfettamente" l'idea di quello che per me é il più grande rosso che abbiamo in Italia... "...prova sublime di raffinatissimo sapere artigiano. Naso fitto e ricco, eleganza, volume al palato, toni, accenti, sensazioni intime indescrivibili, tocchi minerali, lavanda, nuance ferrose, terra, vita, respiro trattenuto. Un Barolo dell'anima" su Barolo Monprivato Ca' d'Morissio Riserva.


Non conosco personalmente Federico e Marco, non mi hanno regalato il libro, non sono stato invitato alla serata di "gala" per la presentazione e nessuno mi ha chiesto di scriverne (bene) in merito. Non sono nemmeno un giornalista, ho semplicemente scucito 45 euro per acquistarlo in Feltrinelli e vi consiglio di fare altrettanto (su internet gira a qualche euro meno) perché nella vostra biblioteca enoica ci sta proprio bene. Merita ed é doveroso dedicargli un post... come si fa con le bottiglie migliori...

martedì 14 gennaio 2014

SFORZATO 2005 - Sforzato di Valtellina D.O.C.G. - Pietro Nera

...alla fine questo Sforzato mi è piaciuto per lo stile, scontroso ma con carattere e capacità evolutiva, ed è sempre meglio che bere vini insignificanti.


E’ da un po’ che non scrivo di qualche bottiglia scovata in offerta tra gli scaffali del supermercato. Come avevo scritto nelle ultime righe del post dedicato alle 10 mosse per divincolarsi tra le migliaia di bottiglie che affollano gli scaffali della G.D.O., ci sono altri canali molto più interessanti e coinvolgenti per acquistare vino. L’altro giorno però, mentre caricavo in macchina un paio di bottiglie da portarmi in montagna, mi è capitato in mano questo Sforzato della Valtellina, che acquistai più o meno un paio di anni fa, attirato da un interessante sconto.

Il produttore in questione è Pietro Nera, che nel panorama eroico della viticoltura valtellinese, costellata da tante piccole realtà, con i suoi 40 ettari e oltre 700.000 bottiglie prodotte, risulta essere una della cantine commercialmente più attive, tanto che le sue bottiglie non mancano mai sugli scaffali della G.D.O. (almeno da queste parti).

Sarebbe interessante una disamina sul ruolo dello “Sfursat” tra i vini valtellinesi, perché se mi passate il paragone (con le dovue differenze), lo Sforzato riveste in Valtellina un ruolo analogo a quello dell’Amarone in Valpolicella. Entrambi giocano sull’utilizzo di uve appassite, ricavandone vini di grande potenza ed estrazione, con gradazioni alcoliche importanti. In entrambi i casi parliamo dei vini più prestigiosi della zona, considerando il prezzo piuttosto elevato e i riconoscimenti nazionali ed internazionali delle guide. E’ altrettanto vero, che non sono questi due vini la più autentica espressione della cultura vitivinicola, del vitigno e del territorio… che in Valtellina ritroviamo nei classici Sassella, Grumello, Inferno ecc… così come è il Valpolicella Classico il vino che meglio rappresenta la tradizione vitivinicola di Negrar e dintorni. Precisazione doverosa…

Attualmente l'azienda di Chiuro, attiva da oltre 70 anni, produce due linee di vini, la "Selezione" che annovera lo Sforzato etichetta bianca e la linea "Classica" venduta a minor costo e reperibile presso la G.D.O. Anche qui troviamo lo Sforzato (che é lo stappato di oggi) che però sul sito ufficiale é rappresentato con una linea grafica differente, uguale a quella degli altri rossi e non con la versione nera dello Sforzato selezione. Dichiamo che c'è un pò poca chiarezza su quale versione di Sforzato sto bevendo...

Passiamo allo stappato "etichetta nera"…  Sforzato Pietro Nera 2005 D.O.C.G., uva Nebbiolo in purezza lasciata per 3 mesi ad appassire nei fruttai. Le uve vengono vinificate verso la metà di dicembre, la fermentazione é a cappello sommerso con macerazione sulle bucce per 15/20 giorni a temperatura controllata. Il lungo affinamento avviene per 18 mesi in botti di rovere di media capacità, riposa poi in serbatoi di acciaio inox e affina in bottiglia per almeno 8 mesi prima di essere commercializzato. 

Nel bicchiere sfoggia un rosso rubino piuttosto scuro, con sfumature granata, alla prima rotazione dimostra un certo dinamismo, ma non mancano consistenza e concentrazione, così come non nasconde la sua componente alcolica (15% vol.) nella discesa “rallentata” lungo il vetro del bicchiere. Impatto olfattivo decisamente su di giri… dimenticatevi la finezza e le note eteree dei grandi Nebbioli, a due ore dall’apertura esprime ancora forza, persistenza e potenza al limite del sopportabile. Non sto scherzando, provate a resistere con il naso nel bicchiere per più di 3 secondi… la componente alcolica sovrasta tutto e “brucia” letteralmente le narici e anche la beva ne risente, un effetto “spirito” che fa tabula rasa di tutte le sensazione aromatiche. Una intensa sensazione vinosa accompagnata da note di frutta sotto spirito, spezie piccanti e sensazioni balsamiche… decisamente austero. E’ come se il vino mi avesse lanciato una sfida… allora me lo sono bevuto piano piano davanti al camino, e verso la fine (circa 4/5 ore dopo la stappatura) riesco ad entrare in sintonia con il vino… che inizia ad esprimere le sue molteplici sfaccettature… anche quelle più “paracule” derivanti dall’appassimento delle uve… e che un po’ ricordano certi Amaroni… per prima cosa il naso, pur mantenendosi teso e vibrante, inizia a svelare il suo lato più morbido e rotondo, con sentori più dolci di liquirizia e cacao, ma anche frutta nera matura, con accenni di vaniglia e leggere pennellate autunnali di erba umida e sottobosco. Anche la beva pur mantenendosi potente e austera, risulta maggiormente equilibrata e conseguentemente più godibile. Una materia piena e dal retrogusto dolciastro appaga il palato, mentre una buona spalla acida sgrassa e snellisce, regalandoci un sorso lungo, teso e potente.

Finezza ed eleganza non abitano qui, ma alla fine questo Sforzato mi è piaciuto per lo stile, scontroso ma con carattere e capacità evolutiva, ed è sempre meglio che bere vini insignificanti. Non è un vino perfetto, bisogna saperlo aspettare un po’, entrarci in sintonia sorso dopo sorso… se vi piacciono i vini austeri e potenti non rimarrete delusi, soprattutto se lo bevete in valle durante una fredda giornata invernale in abbinata ad un bel piatto di selvaggina in umido e polenta. Io ne ho bevuta quasi mezza bottiglia con del fondente e anche qui si sposa benissimo.

Sono sempre un po’ prevenuto davanti alle offerte del super, ma alla fine posso ritenermi soddisfatto, anche se adesso mi rimane la curiosità di provare la versione da enoteca con etichetta bianca per coglierne le differenze… E' un vino che soddisfa e non costa troppo, anche meno di alcuni Brunelli prodotti da imbottigliatori... Se lo ricompro lo bevo con sotto i System of a Down!!






mercoledì 8 gennaio 2014

FRIULANO 2011 - Colli Orientali del Friuli D.O.C. - Aquila del Torre

...Una giornata di sole invernale, un tiepido calore che annuncia la primavera che verrà, é materia viva che scalda e appaga, ma non é ancora tempo, l'aria é tesa e tagliente, aria che gonfia i polmoni e ci fa sentire vivi, freschi, giovani...


4 icone stampate sulla retro etichetta  di questo Friulano sono sufficienti per comprendere l'essenza dei vini di Aquila del Torre. La Coccinella, simbolo della lotta integrata, di pratiche agronomiche biologiche e una ricca biodiversità, con boschi, erbe spontanee, insetti... un ripida e meravigliosa collina di 450 metri, incastonata in una verde oasi naturale, oggi riconosciuta dal WWF. La Conchiglia, simbolo dei fossili che arricchiscono il terreno su cui sorgono i vigneti... definito Flysch (stratificazione) consiste in marne e arenarie dell'epoca Eocenica. E' questa particolare caratteristica a garantire la freschezza e la mineralità dei loro vini. La Nuvola, simbolo del vento, elemento non sottovalutabile nella viticoltura, soprattutto in una terra spazzata dai venti come quella friulana. Le Alpi Giulie proteggono i vigneti dalle fredde correnti del nord, mentre sono ventilati dalle più calde correnti provenienti da sud. La Collina, simbolo del vigneto, disposto su pendio scosceso attraverso terrazzamenti a monofilare. Una forma di esposizione che garantisce uniforme insolazione e perfetta maturità alle uve. Partire da queste 4 icone e fondamentale per capire il progetto di Aquila del Torre, i suoi protagonisti e il loro vino.

Cantina con oltre un secolo di storia alle spalle, é situata a Savorgnano del Torre, in provincia di Udine, nome derivante dal torrente Torre che attraversa queste zone; enologicamente riconosciute come territorio di eccellenza per la produzione del Picolit. Aquila del Torre come la conosciamo oggi, nasce verso la metà dei novanta, quando la famiglia Ciani decide di vendere l'officina meccanica di Udine ed investire in questa Tenuta. Una scelta di vita e la volonta di chi prova a realizzare un sogno, che oggi si può dire compiuto, in virtù dei 18 ettari vitati e quasi 80.000 bottiglie prodotte, oltre ad un bad & breakfast e il progetto Oasi Picolit. Si lavora in ambito familiare e in grande armonia con la natura circostante nel rispetto della biodiversità. La conversione a biologico del 2011, é il risultato di questo "rispettoso" lavoro di salvaguardia del territorio.

Un progetto conoscitivo e formativo quello portato avanti da Claudio e Francesca, oggi aiutati dai figli, per valorizzare ed ottenere il meglio dai vigneti a base di Friulano, Sauvignon Blanc, Refosco, Picolit, Riesling, Verduzzo e Merlot. Tre le linee di vini proposti, la At che rappresenta i vini base della cantina, eleganti nella loro essenziale quanto intrigante veste grafica,  la linea selezione che può vantare (unico nel suo genere) un bianco secco a base Picolit, e i due cru a base Friulano e Sauvignon Blanc ricavati da due piccole parcelle. 

Oggi vado a stappare il loro Friulano At, annata 2011, 100% Tocai friulano (conosciuto oggi con il solo nome "Friulano" per non confondersi con il Tokaj ungherese), proveniente da un vigneto con circa 11 anni di età contornato dal bosco, con inerbimento spontaneo e trattamenti limitati a rame e zolfo. Vinificazione e affinamento avvengono in acciaio inox. La fermantazione é eseguita con lieviti selezionati (che diventeranno indigeni dal 2012) e la maturazione avviene sulle fecce per 9 mesi. Segue una leggera chiarifica e filtrazione, prima di andare in bottiglia e rimanerci un paio di mesi. Produzione di circa 8000 bottiglie nel 2012, gradazione alcolica di 13° e prezzo medio in enoteca sulle 13-15 euro.

Il vino come mi aspettavo si presenta di un giallo paglierino scarico scheggiato d'oro, limpido e solare, dinamico ed essenziale. Un acquerello su tela, pennellate delicate ed eleganti disegnano campi di fiori bianchi, mandorli fioriti e cestini di frutta estiva. Una giornata di sole invernale, un tiepido calore ad annunciare la primavera che verrà, é materia viva che scalda e appaga, ma non é ancora tempo, l'aria é tesa e tagliente, aria che gonfia i polmoni e ci fa sentire vivi, freschi, giovani. Le labbra si asciugano e con la punta della lingua ne avverto il sapore sapido e acidulo, di rocciosa salinità... chiudo la bocca e ne assaporo la saliva dolce e amarognola. 

E' vino equilibrato e leggiadro, con una bella e vitale tensione gustativa. La semplicità dell'aria fresca in una giornata di sole invernale. Lo consiglio a chi vuole bere una bottiglia buona e ben fatta senza doversi impegnare troppo. Davvero un vino che ti fa stare bene e di cui vorresti abusare... durante un aperitivo, con un piatto di verdure croccanti, una frittatina alle erbette, una pasta con le seppie o più semplicemente... per godervi un momento di relax (e di riflessione) mentre Sufjan Stevens canta To be alone with you. Segnatevi questa nome.

giovedì 2 gennaio 2014

PIGENO 2010 - Blauburgunder Südtirol Alto Adige D.O.C. - Stroblhof

...é un vino che gioca sulla finezza e non sull'esplosività... un vino che siamo noi a dover scoprire e non lui a rivelarsi.


Chiudere in bellezza il 2013 significa anche trovare il coraggio di infilarsi in un'osteria il 29 di dicembre.. Sfruttare il clima mite e soleggiato dopo giorni di acqua a catinelle e spararsi un'ora d'auto in direzione nord, lungo la sponda lombarda del Lago Maggiore, per poi salire i tornanti che portano ad un piccolo borgo delle prealpi varesine... tutto questo due giorni dopo il "trittico" mangereccio di Natale e due giorni prima del cenone dell'ultimo dell'anno. La "linea" ringrazia, e anch'io devo un grazie a Dino de l'Acino che alcuni mesi fa mi parlò (bene) di questa osteria che ospita i suoi vini. Ci voleva un calabrese che abita a quasi mille chilometri da qui per consigliarmi un posto interessante nella mia provincia, dove ben mangiare e bere?? Può sembrare una strana storia... ma é così...

Passiamo oltre, altrimenti qui si fa notte (poi vi svelo il nome del posto) e vi scrivo dello stappato di oggi, o meglio del vino che mi hanno stappato oggi, trattandosi della bottiglia che ho ordinato in osteria. Mi é capitato raramente di scrivere dei vini bevuti al ristorante, un po' perché non posso star qui a raccontarvi tutto quello che attraversa il mio palato, un po' perché sono sprovvisto IPhone o roba del genere e quindi mi riesce difficile fotografare le bottiglie, ma sopprattutto perché nel 90% dei ristoranti le carte dei vini sono assai deficitarie, e le poche bottiglie interessanti viaggiano a prezzi che onestamente... preferisco comprarle in enoteca e stapparmele a casa!! In questo caso nulla da obbiettare, carta dei vini contenuta ma mirata con ricarichi più che onesti, considerando anche il buon servizio dell'oste Alessio. Ho quindi investito con piacere 27 euro per questo ottimo Pinot Noir (in enoteca sfiora le 20), che non avevo ancora avuto modo di assaggiare ma di cui avevo letto un gran bene. 

La cantina (e molto altro ancora guardatevi il sito...) si chiama Stroblhof e si trova in Alto Adige, lungo la Strada del Vino di Appiano. Le radici di questa azienda vitivinicola risalgono addirittura al 1600, e oggi a gestire questo antico maso ci sono Rosi e Andreas Nicolussi-Leck, che curano con senso estetico e precisione stilistica rigorosa (come solo gli alto-atesini sanno fare) poco più di 4 ettari di vigneti che danno vita a circa 35.000 bottiglie, suddivise tra vini bianchi e rossi tipici del Südtirol. A farla da padrone qui é il Pinot, uva assai difficile da coltivare, ma che in queste zone riesce ad esprimersi ai massimi livelli nazionali, grazie ad un microclima particolarmente adatto, con correnti rinfrescanti e marcate escursioni termiche. Tutti gli appassionati guardano alla viticoltura dell'Alto Adige per la qualità dei vini bianchi, che difficilmente tradiscono le aspettative, ma nel caso di Stroblhoh é indubbiamente il Blauburgunder (così é chiamato da queste parti il Pinot Nero) il vitigno da cui si ottengono le bottiglie più interessanti. Che in verità sono solo due; il Pigeno (il Pinot Nero base) e la versione Riserva, di cui molti di voi avranno già letto notizie in merito (spero magari anche bevuto), trattandosi a pieno titolo di una delle più importanti espressioni della tipologia prodotte in Italia. 

Io oggi vi racconterò del Pigeno 2010, da uve 100% Pinot Nero raccolte in autunno e lasciate a fermentare per 10 giorni, prima di affinare per un anno in botti di rovere e un anno in bottiglia. Di un rubino tenue, pulito, brillante e trasparente all'unghia, si mostra fin da subito fine ed elegante. Colpisce per la sensazione di netta pulizia e precisione stilistica, che determinano un vino dall'equilibrio perfetto. Il lavoro tra i filari e quello in cantina é ottimamente bilanciato sia al naso che al palato... trama fine e di grande scorrevolezza, naso caldo  ma snello, con delicata componente alcolica (14%vol.) a sostegno di un bel impianto aromatico, dove il frutto (amarena) non riesce ad esplodere imbrigliato tra le note di frutta secca, tostatura, spezie, erbe di montagna e accenni di incenso. Beva dinamica e pulita, precisa e sgrassante, si lascia apprezzare per l'equilibrio tra le componenti con tannini ancora giovani ma levigati, una piacevole acidità che da slancio alla beva e una leggera sensazione materica nel finale, che galvanizza il palato.

A dirla tutta, un tocco di "solarità" in più non gli avrebbe guastato, soprattutto nella fragranza olfattiva, ma é un vino che gioca sulla finezza e non sull'esplosività... un vino che siamo noi a dover scoprire e non lui a rivelarsi. Il raffronto con i Pinot Noir d'oltralpe sarebbe ingiusto e quindi eviterò qualsiasi riflessione in merito (anche perché l'ultimo assaggiato é un Échézeaux vecchio di vent'anni della Romanée Conti, vino di cui non scriverò per soggezione nei suoi confronti...) ma rimanendo in territorio nazionale si attesta tra i Blauburgunder più convincenti che hanno attraversato il mio palato (almeno fino ad oggi).

Poco altro da aggiungere, non dimenticatevi se passate per una gita sul lago Maggiore di prendervi una pausa e salire a Brissago Valtravaglia... al numero 15 di via Garibaldi troverete l'Osteria d'Alberto. Non é facile da trovare ma come un buon Pinot Noir non si vuole svelare, sta a noi il piacere della scoperta. Una piccola chicca che merita il viaggio.

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ACQUISTI IN CANTINA... A VOLTE I CONTI NON TORNANO !!

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da "Le vie del vino" di Jonathan Nossiter... < - In cantina questo Volnay, che qui é a 68 euro, ne costa più o meno 25. Quindi non sono i De Montille ad arricchirsi. Ma quando arriva a Parigi o a New York, il vino costa almeno il doppio che dal produttore. - Quindi per noi che abitiamo in Francia val la pena di andare a comprare direttamente da lui. - Si in un certo senso, il ruolo dell'enoteca in città è quello di aprirti le porte per farti scoprire il tuo gusto personale, e di esserti utile quando hai bisogno di qualcosa rapidamente. Poi spetta a te stabilire una relazione diretta con il produttore >

NON STRESSATECI IN ENOTECA !!

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...Anche se sono un po’ più giovane e indosso il parka con le pins non significa che entro per mettermi sotto il giubbotto le bottiglie di Petrus fiore all’occhiello della vostra enoteca, quindi evitate di allungare il collo o sguinzagliarmi alle spalle un commesso ogni volta che giro dietro allo scaffale.