Dalla Calabria Sergio Arcuri, con il suo rosè "Il Marinetto" riesce a farti aprire gli occhi, mettere nero su bianco, e fa saltare il banco... #maipiùsenza
Ho conosciuto Sergio Arcuri vignaiolo in Cirò Marina qualche anno fa alla Terra Trema. Sosta al banchetto per assaggiare il suo Aris, ottimo Cirò che tanto mi piacque, ma che colpevolmente non acquistai al termine del vorticoso giro di assaggi e acquisti del Leoncavallo. Va così... quando lo zaino è pieno di bottiglie non puoi far altro che ritirarti in cucina POP per recuperare energie e discutere davanti ad un piatto fumante, sugli assaggi e le bottiglie che avresti voluto ma non hai potuto, Aris compreso. Quando a marzo di quest'anno sono tornato in quel di Milano per il Live Wine, ho promesso a me stesso di recuperare a quella mancanza leoncavallina, così mi son fermato da Sergio per riassaggiare ed acquistare il Cirò. Segno del destino, non gli ho preso la bottiglia nemmeno questa volta e la colpa è tutta di Sergio.
Insieme al mio compagno di viaggio Fede Legno, entrambi negati e malfidenti al cospetto di rosè e bollicine, tanto da saltarli a piedi pari nel giro assaggi, abbiamo dovuto inchinarci e cospargerci il capo di ceneri al cospetto de "Il Marinetto", che fortunatamente Sergio ci ha fatto assaggiare... noi l'abbiamo avvisato... non siamo da rosè, ma lui ha garantito... assaggiate questo... e la storia finisce con "Il Marinetto" nello zaino e il Cirò ancora una volta rimandato alla prossima occasione.
Ho conosciuto Sergio Arcuri vignaiolo in Cirò Marina qualche anno fa alla Terra Trema. Sosta al banchetto per assaggiare il suo Aris, ottimo Cirò che tanto mi piacque, ma che colpevolmente non acquistai al termine del vorticoso giro di assaggi e acquisti del Leoncavallo. Va così... quando lo zaino è pieno di bottiglie non puoi far altro che ritirarti in cucina POP per recuperare energie e discutere davanti ad un piatto fumante, sugli assaggi e le bottiglie che avresti voluto ma non hai potuto, Aris compreso. Quando a marzo di quest'anno sono tornato in quel di Milano per il Live Wine, ho promesso a me stesso di recuperare a quella mancanza leoncavallina, così mi son fermato da Sergio per riassaggiare ed acquistare il Cirò. Segno del destino, non gli ho preso la bottiglia nemmeno questa volta e la colpa è tutta di Sergio.
Insieme al mio compagno di viaggio Fede Legno, entrambi negati e malfidenti al cospetto di rosè e bollicine, tanto da saltarli a piedi pari nel giro assaggi, abbiamo dovuto inchinarci e cospargerci il capo di ceneri al cospetto de "Il Marinetto", che fortunatamente Sergio ci ha fatto assaggiare... noi l'abbiamo avvisato... non siamo da rosè, ma lui ha garantito... assaggiate questo... e la storia finisce con "Il Marinetto" nello zaino e il Cirò ancora una volta rimandato alla prossima occasione.
Beata ignoranza e il momento in cui qualcuno mettendoci anima e cuore, riesce a farti aprire gli occhi, mette nero su bianco e fa saltare il banco, dimostrando che eri solo un eno-snobbista traviato da bevute insignificanti e spaccastomaco, scaraffamenti vari da pizzeria e rosati da GDO. Ecco invece un rosè con i controcoglioni, cuore-sudore-natura, così come deve essere fatto un signor vino.
"Il Marinetto" prende il nome dalla vigna da cui si ricavano le uve di Gaglioppo con cui viene poi prodotto, un giovane impianto del 2005, su suolo calcareo e leggermente argilloso a due passi dal mare. Poche migliaia di bottiglie attraverso un processo semplice e senza forzature, che permette alla natura e al vino di fare il suo percorso (biologico certificato, lieviti indigeni, breve macerazione sulle bucce, breve affinamento in acciaio e bottiglia), per arrivare sulla nostra tavola con una naturale fragranza che assolutamente non lascia indifferenti. Non è un caso che due non amanti dei rosati siano tornati entrambi a casa con "Il Marinetto" così come l'entusiasmo della mia compagna (altra "rosato diffidente") quando l'ho stappato super-fresco, durante una di queste calde ed afose giornate di luglio.
Splendido nel bicchiere già dal colore vivo e brillante, su tonalità arancio mixate a sfumature tra il granato e la ruggine, a tratti quasi mi ricorda il ginger. Pulito, luminoso, fluido, estivo, fresco, fragrante, tonico e di spigliata acidità, di quella giusta, mai fastidiosa e ben integrata con la struttura di un vino che dimostra carattere e personalità, oltre ad una beva piacevole e rinfrescante. Siamo ben lontani da quelle "bibite" rosè dall'acidità fastidiosa e profumi zero. In elenco sparso e a piacimento, ritrovo suggestioni floreali, ma anche rimandi ciliegiosi, le fragoline di bosco, il melograno, l'amarognolo delle note agrumate, la sapidità portata dal mare. Al palato è teso ma soprattutto vivo ed energico, un sorso "gagliardo" che rincuora e gratifica, che lascia al suo passaggio una "dissetante" sensazione di freschezza e pulizia.
La famiglia Arcuri pratica la viticoltura dal 1880, passione agricola tramandata da generazione in generazione, con l'apertura di una vera e propria cantina a partire dagli anni '70, con la vendita di vino sfuso. Dal 2009, Sergio con l'aiuto del fratello e del padre Giuseppe iniziano l'imbottigliamento e subito arrivano i primi attestati di stima per la bontà naturale delle loro due etichette proposte, da un unico vitigno semrpe in purezza, l'autoctono Gaglioppo. Meno di 10.000 bottiglie in tutto, non facilissime da trovare, anche perché vendute ad un prezzo più che onesto. Il consiglio è di acquistare i suoi vini direttamente alle fiere (10 euro per "Il Marinetto") o in alternativa rivolgersi ad un'enoteca che tratta vini naturali, oppure on line su Wine is Terroir (non a caso uno dei migliori e-shop dedicati al vino).
La Calabria del vino è ancora poco conosciuta ai consumatori della domenica, eppure se ne sente sempre più positivamente parlare, grazie a vignaioli come Arcuri, A Vita, Cote di Franze, L'Acino, Casa Ponziana, Santino Lucà... e altri che non mi vengono in mente, vignaioli che hanno scommesso sul territorio e sulla Calabria, che stanno ridando slancio ad una viticoltura "dal basso", valorizzando le uve autoctone e i vecchi vigneti, partendo dal "poco ma autentico", evitando così l'errore di molti colleghi calabresi, che hanno puntato tutto sulla quantità.
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